M5S, il giovane Di Maio premier? Un diktat. L'imposizione di Grillo-Casaleggio
E' il vero problema per la formazione del nuovo governo
Piero Ignazi sostiene giustamente, su “Repubblica”, che la situazione politica non si sbloccherà finché Luigi Di Maio non rinuncerà all’assurda – e costituzionalmente infondata – pretesa di essere nominato primo ministro. Una richiesta, scrive, “frutto di un mix di esaltazione, inesperienza e arroganza”. E tuttavia l’obiettività vuole che si difenda il povero giovane. Se coloro che hanno i capelli bianchi delegano il comando – o l’apparenza del comando – a un giovane che non ha né esperienza, né cultura politica né pratica di governo, come meravigliarsi, poi, se quello commette errori? Come possiamo imputargli l’esaltazione se, a trent’anni, si vede designare candidato premier?
L’arroganza è costituita dall’attribuirsi qualità che non si hanno, ma nel suo caso è poi così assurdo che egli pensi di averle, quelle qualità? La verità è che, per come l’hanno “pompato”, il giovane Di Maio si mostra perfino saggio. La pretesa che Di Maio sia il primo ministro è un macigno sulla via che conduce al nuovo governo, ma questo errore non lo ha commesso l’interessato, che in questa faccenda è più o meno un esecutore di ordini.
L’ha commesso chi comanda nel Movimento. Di Maio sa benissimo di non essere stato designato da undici milioni di elettori, come gli hanno intimato di ripetere quotidianamente. È stato designato da un solo Grande Elettore (come erano Principi Elettori – Kurfürst - quelli del Sacro Romano Impero): cioè da Beppe Grillo. Esattamente quel latitante politico che di mestiere fa il comico e che, interrogato, oggi direbbe, come l’apostolo Pietro: “Di Maio? Non lo conosco”. Poi, se a qualcuno sembra eccessivo che un quisque de populo abbia potuto designare il futuro primo ministro dell’Italia, si può allargare la lista dei Kurfürst a due, aggiungendo Davide Casaleggio.
Ma due rimane un numero molto più piccolo di undici milioni. Ancora una volta, non si vuol dire male di Di Maio. Sembra un bravo figliolo. Sarà la gioia della sua famiglia e forse sarebbe stato anche un eccellente lavoratore, se gli avessero offerto un lavoro serio. Ma come si può pensare di affidargli la massima responsabilità nazionale? Ché anzi il giovane fa proprio del suo meglio. Se non si tratta di congiuntivi, sa parlare bene, è garbato, pulito, sorridente. Perfino amabile, quando le sciocchezze che è costretto a dire non sono troppo grosse. Ma – salvo ad ottenere col suo partito più del 50% dei voti - Grillo come ha potuto pensare che gli italiani si sarebbero acconciati ad avere come primo ministro un giovane che la maggior parte dei politici italiani anziani non avrebbe accettato come portaborse? Lo stesso suo contrasto con Matteo Salvini induce in errore.
Durante la campagna elettorale Berlusconi ha accettato il principio che il leader del centrodestra sarebbe stato il capo del partito che, all’interno della coalizione, avrebbe avuto più voti. E ciò perché era convinto che sarebbe stato lui. Poi è andata come è andata ma Salvini almeno ha una decina d’anni più di Di Maio. ha fatto la sua strada politica da solo, ha realizzato da sé l’impressionante aumento dei voti della Lega. Insomma, anche se spara sciocchezze da lesionare le mura della città, è un personaggio in proprio. Ecco perché è incongruo parlare della coppia Di Maio-Salvini.
Non hanno lo stesso peso. Infatti, se gli uomini del Pd non accetterebbero di sostenere Salvini come primo ministro è perché non condividono il suo programma, non perché non lo prendano sul serio. Mentre l’ipotesi di Di Maio manda fuori di testa tutti i politici di professione. Il diktat dell’Onnipotente, o dei due Onnipotenti, può essere imposto al Movimento, perché ne tirano le fila; ma il resto del mondo politico italiano ha ancora le proprie idee e la propria dignità. I signori in toga praetexta che siedono in Senato temono per la seconda volta di vedersi imporre come collega, ed anzi come capo, un cavallo. Senza offesa per Di Maio, naturalmente.
Stiamo parlando di competenza, non di natura umana od equina. E per dimostrare a che punto il nome del giovane Luigi è stato calato dall’alto, basterà chiedere: quanti italiani avrebbero indicato Di Maio come candidato premier, se si fosse seguito il sistema americano della nomination del candidato democratico o repubblicano? Molti oggi dicono che Forza Italia non è concepibile senza Berlusconi, e che anzi, se non ci fosse ancora lui, forse quel partito sparirebbe. Chi direbbe che il Movimento 5 Stelle domani sparirebbe dagli schermi radar, se non ci fosse Di Maio candidato alla carica di primo ministro? Ancora una volta il M5S è vittima di quella hybris, quell’eccesso che fa perdere di vista la realtà. Ma la realtà ha la brutta abitudine di vendicarsi.
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