Politica

M5s, nuovo laboratorio Torino: i segreti del successo della Appendino

Torino si è svegliata improvvisamente diversa. Le marce operaie in mezzo a bandiere rosse, i rumorosi comizi dei “compagni” in strada, le riunioni di partito in sale piene di fumo, ma anche le più recenti ubriacature olimpiche questa mattina appaiono pellicole ingiallite.

Sì, perché il 31% del Movimento 5 Stelle a Torino (probabilmente prima forza politica cittadina) disorienta anche chi ha seguito da vicino l’evoluzione dell’esperimento lanciato da Beppe Grillo e mette in crisi l’immaginario collettivo e la memoria storica legati al capoluogo piemontese.
Stavolta l’alternativa è apparsa davvero “Chiara”, tanto da confinare in un angolino un centro-destra sempre più sgretolato e che, anche a questo giro, si era già arreso prima dell’inizio della battaglia. Il risultato di Chiara Appendino e i suoi 5 Stelle è davvero straordinario in una città dove, nella scorsa tornata, avevano toccato appena il 5%. Nella città “rossa” per eccellenza in cui è stato spiegato ai vecchi militanti, attivisti, simpatizzanti e-o elettori che il PD è l’evoluzione (per altri, l’involuzione o la metamorfosi) del Partito Comunista (o della DC più a sinistra). Nemmeno Beppe Grillo, nei suoi slanci più euforici e incontrollati, avrebbe mai potuto pronosticare un risultato di questo genere nell’ “immobile feudo sabaudo”. Lo stesso Fassino, nella sua prima dichiarazione (alle tre di notte) a un terzo dello spoglio, è sembrato scosso e ha ricominciato a parlare di “crisi sociale”.

Le critiche, anche dure, al Movimento piemontese - che poi sono più o meno le stesse a livello nazionale - sono del tutto legittime in quanto a organizzazione e democrazia interna e all’isolamento di uno come Vittorio Bertola (il consigliere uscente non ricandidatosi) che col suo iperattivismo ha contribuito in prima linea all’ascesa pentastellata. Ciononostante, questa è una memorabile vittoria dal basso, delle centinaia di attivisti, volontari e simpatizzanti che si sono mobilitati per la campagna elettorale su ogni angolo del territorio e che, prima di tutto, in un tempo relativamente breve, hanno consolidato una rete evidentemente capace di intercettare le istanze e le problematiche dei quartieri, specie quelli periferici. “Fanatici”, “manichei”, “populisti”, “complottisti”, di tutto si sono sentiti affibbiare i rappresentanti politici e gli attivisti del Movimento, eppure, anche per questa campagna, ognuno sembra aver fatto il proprio meglio,  ripartendo da zero…budget. Tutto ciò che è stato raccolto per finanziarla proviene da cene “solidali”, vendita di uova di pasqua e gadget vari e altre tipologie di fund raising creativo. Sempre poco rispetto alle disponibilità del gigante PD, i cui principali rappresentanti possono godere, oltre che della visibilità mediatica e istituzionale, di un patrimonio accumulato grazie agli emolumenti dell’attività politica (in alcuni casi decennale) e di vari sponsor privati. E di un rapporto privilegiato, sfociante nel clientelismo, con una vasta area dell’associazionismo, dei circoli culturali, delle fondazioni, del non profit in generale, dei gestori di impianti comunali, aggiungerebbe chi conosce bene le dinamiche locali.

Indipendentemente dall’esito del ballottaggio, a Torino si è aperto un nuovo scenario che non certifica solo un risultato elettorale inaspettato, ma, prima di tutto, costringe i vertici dell’amministrazione uscente a rileggere criticamente quella narrazione della “Torino post-olimpica” che credevano rassicurante per i propri concittadini. Il risultato elettorale dei 5 Stelle dice, infatti, che l’immagine della Torino del “rilancio culturale e turistico” non basta più; la popolazione giovanile comincia a reclamare un futuro che appare ancora drammaticamente sbiadito. Le voci, i gruppi, i comitati, i laboratori, i “cani sciolti”, gli osservatori indipendenti che - indirettamente a supporto dei 5 Stelle - hanno denunciato quella che per loro è propaganda dell’apparato politico di governo forse non sono poi così minoritari come li si è etichettati (pensiamo al laboratorio “Sistema Torino”, a realtà giornalistiche indipendenti come “Lo Spiffero”, all’occupazione della Cavallerizza Reale, oltre al blocco delle controculture antagoniste e del Movimento No Tav). Del resto, il progetto per la riconversione economica della città, in risposta alla deindustrializzazione di inizio anni Ottanta, non è mai stato chiaro (o non esiste ancora)? Lo stesso “rinascimento culturale” su cui hanno basato la propria campagna elettorali molti candidati PD sarebbe ancora tutto da spiegare ed è sicuramente contraddittorio già in partenza: organizzare e attrarre eventi, okay, ma se poi per le biblioteche civiche non c’è più un euro nemmeno per sostituire un pc?

Oltre a ciò, i 5 Stelle torinesi non hanno ricevuto altri aiuti. La Lista di Airaudo (campagna elettorale debole - anche visivamente - e con scarsissime risorse) è andata malissimo e ha tolto quasi nulla - al contrario di ciò che temeva il centro-sinistra - a Fassino; grandi vecchi come lo storico sindaco comunista Diego Novelli hanno continuato a snobbare l’Appendino (anche dalle righe del suo giornale “Nuova Società”); quest’ultimo si è addirittura lanciato in un endorsement per il compagno Fassino durante l’assemblea dell’ANPI. Il PD, dal canto suo, anche a questo giro, ha chiesto aiuto alle solite liste civiche (fra cui quella di Progetto Torino di Gianguido Passoni il quale, solo cinque anni fa, si poneva nelle primarie come alternativa a Fassino, ma poi fu arruolato come assessore al bilancio) e può ancora contare sul prezioso appoggio dei Moderati (seppur nettamente ridimensionati). Ciò che si può considerare un brand creato e sostenuto da diversi imprenditori che nulla hanno a che spartire con le ideologie politiche di sinistra, ma che per puro opportunismo elettorale si sono sempre schierati con chi, negli ultimi venticinque anni, ha governato Torino. E con un budget di investimento per la campagna elettorale decisamente superiore a quello dei pentastellati torinesi.

Di fronte alla tabella dei risultati elettorali, ci sono anche altri che possono “togliersi qualche sassolino”. Come esponenti dei movimenti ambientalisti e sostenitori della mobilità sostenibile che avevano guardato con sospetto all’apertura (quasi) definitiva del nuovo passante - dopo 25 anni di cantieri - sopra la spina ferroviaria proprio in coincidenza con l’appuntamento elettorale, ma che, in ogni caso, non pare abbia smosso granchè a favore dell’amministrazione uscente.

Un altro dato da prendere in considerazione sarebbe l’elevato (e preoccupante) astensionismo registratosi pure a Torino. Complicato, tuttavia, da interpretare, dato che si potrebbe parlare di sfiducia verso la politica o l’amministrazione uscente; o, all’opposto, di volontà di non cambiare (“tanto rivince Fassino”); o, molto più banalmente (e forse è l’opzione migliore), si potrebbe rimarcare che si votava in coincidenza della ghiotta opportunità del ponte vacanziero e che nella scorsa tornata i seggi sono stati aperti un giorno in più.
Fatto sta, che il Movimento 5 Stelle rischia di diventare il primo partito, oops, la prima lista a Torino e che, sostenuto da un elettorato giovane, con questo incredibile risultato rimette in discussione, dopo quasi 30 anni, la leadership torinese del centro-sinistra. Un Movimento tutto stretto incondizionatamente alla sua candidata sindaca Chiara Appendino, come testificato dalla distribuzione dei voti dei propri candidati che in nessun caso raggiunge i picchi di quelli del PD.

Gaetano Farina