Politica
Santanchè, Almasri, migranti, Trump, Musk... Il piano di Meloni sui principali dossier. Inside
Il dietro le quinte della direzione nazionale di FdI
La premier in questi due anni e mezzo ha già sorpreso molti per la capacità di essere centrale a livello internazionale, sa che stavolta sarà più difficile ma non ha altra possibilità che giocare la partita
Giorgia Meloni, approfittando di un vertice a Belgrado saltato all’ultimo per le dimissioni del premier serbo, si è ritagliata un fine settimana in famiglia, lontana da aerei e riflettori, e ha lasciato spazio ai dirigenti del suo partito. Quel partito che spesso lei stessa ha difeso dall’accusa della sinistra di non avere classe dirigente adeguata alle spalle della leader. E così la direzione nazionale di Fratelli d'Italia, svoltasi sabato mattina nel centro di Roma, è diventata l’occasione la rivendicazione orgogliosa dei risultati di governo e per una dimostrazione di compattezza granitica di un partito che nei sondaggi continua a navigare intorno al 30%.
Arrivano alla spicciolata ministri (per la prima volta anche i tecnici Abodi, Calderone e Schillaci), capigruppo e parlamentari di peso, assediati dai cronisti in cerca di una crepa, di una sbavatura, ma niente. Tutta FdI fa quadrato intorno alla leader sotto attacco: dal caso Almasri allo scontro con le toghe sui trasferimenti dei migranti, fino al nodo Santanchè. Meloni sa che il “tormentone Santanchè” potrà finire soltanto se i suoi riusciranno a convincere la ministra del Turismo a togliere il disturbo, magari appena dopo aver incassato la fiducia “politica” dal Parlamento il prossimo 10 febbraio.
Sa anche che l’iniziativa del procuratore Lo Voi sul caso Almasri non potrà sfociare in un processo: confida in una rapida archiviazione da parte del Tribunale dei Ministri ma sa di poter contare sulla sua maggioranza per affossare un’eventuale richiesta di processo. E sa anche che, mentre tra Chigi e Viminale si lavora sulle contromosse giuridiche, occorrerà attendere la Corte di Giustizia Ue (prevista per il prossimo 25 febbraio) per fare chiarezza - si spera definitiva - sul tema dei “Paesi sicuri” sollevato dai giudici di Bologna e Roma. È probabile che anche di questo si parlerà oggi, in un castello vicino Bruxelles, dove la premier è attesa per un Consiglio europeo informale.
Lì incontrerà il nuovo primo ministro belga De Wever che, con quello ceco Fiala e la stessa Meloni, porta a tre i premier espressi dai conservatori di ECR, guidati fino a pochi giorni fa proprio da Meloni. Tanti quanti ne hanno i socialisti europei, oggi ai minimi storici. C’è da scommettere che - oltre ai migranti - terrà banco il tema dazi, dopo che Donald Trump ha firmato i primi provvedimenti contro Messico, Canada e Cina e ha annunciato che anche l’Europa è sotto tiro.
Intanto Elon Musk lancia su X una sorta di movimento europeo - lo ha chiamato MEGA, Make Europe Great Again, richiamando il trumpiano MAGA - ma per ora da FdI bocche cucite sull’argomento. Meloni sa che nella gestione del rapporto con Trump (e Musk) si gioca molto. Può uscirne indebolita dalla difficoltà di arginare iniziative penalizzanti per la nostra economia, o può uscirne come la leader di una nuova Europa che costruisce una nuova partnership con gli Stati Uniti anziché alimentare una guerra commerciale.
La premier in questi due anni e mezzo ha già sorpreso molti per la capacità di essere centrale a livello internazionale, sa che stavolta sarà più difficile ma non ha altra possibilità che giocare la partita. Fino in fondo.
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