Politica

Nazione Futura, conservatori in un'Italia immobile

Simone Cosimelli

L'intervista a Francesco Giubilei. Ecco il nuovo think tank di centrodestra

Chi cerca su Google legge: «In un Paese (con la P maiuscola) in cui non c’è niente da conservare, Nazione Futura». Un non partito che, prima della politica, guarda alla cultura. Un non partito che, spiega ad Affaritaliani.it il responsabile Francesco Giubilei (25enne, editore e scrittore), «vuole restituire dignità al termine conservatore». 

 

 

Francesco, che cos’è Nazione Futura?

«Non è né un partito né un movimento politico. E’ un Think Tank, un laboratorio di idee: che nasce con l’obiettivo di aggregare le varie anime del mondo culturale del centrodestra. A 360°. Conservatori, cattolici, liberali. L’obiettivo è quello di fare rete, stimolare il dialogo, produrre contenuti».

Come?

«Con la nostra casa editrice Historica, editeremo libri e pamphlet all’interno di una nuova collana. E poi c’è la pubblicazione di una rivista cartacea trimestrale di approfondimento culturale ed economico. Il numero zero è uscito recentemente, con contributi, per esempio, di Marcello Veneziani, o Alessandro Gnocchi. Vari nomi, più o meno conosciuti. Insieme a loro, però, si aggiunge il lavoro di alcuni meritevoli giovani. E proprio sui giovani scommettiamo: per un rinnovamento della classe dirigente».

Organizzerete anche eventi?

«Sì. Siamo partiti con due convegni: Roma e Milano. Il titolo era “Il centrodestra del futuro”. Ed entrambi hanno registrato molte partecipazioni. Li replicheremo anche a Napoli, Bari e Catania».

Contatto diretto con il pubblico, insomma.

«Assolutamente. Dobbiamo coinvolgere il più ampio numero di persone. Il 29 maggio, intanto, in collaborazione con l’associazione culturale Periscopio, organizzeremo alla Camera dei Deputati un incontro dedicato al tema del reddito di cittadinanza e della disoccupazione giovanile. Dovrebbe esserci Lamberto Dini, tra gli altri».

E cosa vi differenzia da altre esperienze simili?

«Pensiamo che non servano mini-partiti e formazioni politiche alternative. Specie nel centro-destra. Sono inutili. E sarebbe un errore. Piuttosto c’è bisogno di una base culturale dalla quale ripartire».

Cioè?

«Con cultura non mi riferisco alla voglia di andare a vedere una mostra artistica, o di visitare un museo. Mi riferisco a un valore condiviso, a un pensiero di fondo. Perché quando un partito nasce privo di questi elementi non può che disgregarsi, e sparire. Con politici che passano da una parte all’altra. Lo vediamo tutti i giorni. Quindi abbiamo scelto una strada diversa».

Politicamente avete più orizzonti. Economicamente, invece?

«Ci sono dei valori legati al mondo del centrodestra in cui tutti si riconoscono: identità nazionale, famiglia, cultura. L’economia è forse la questione più divisiva. Ma coniugheremo i vari orizzonti. Anche perché in realtà ci sono delle convinzioni comuni».

Quali?

«Meno burocrazia. Meno tasse. Meno ostacoli per chi vuole fare impresa. In particolare per l’imprenditoria giovanile: che dovrebbe essere incentivata e invece incontra molte difficoltà. Non sono d’accordo con una politica economica che vede lo stato fornire denaro per stimolare le attività produttive (e il caso italiano è sintomatico). Un’azienda dovrebbe stare sul mercato con le proprie gambe. Al contrario lo stato dovrebbe intervenire per far sì che diminuiscano i costi per aprire un’attività, per pagare il personale, per svilupparsi. Servono politiche concrete su questo. Oggi non ci sono, e il Paese è bloccato».

Vi considerate una forza di rottura?

«Vogliamo restituire dignità ai conservatori e al conservatorismo. In Italia, il solo termine “conservatore” è confuso con “reazionario”. E viene identificato con un elettorato ignorante, retrogrado. In Gran Bretagna c’è un partito con quel nome, in Italia, invece, è politicamente censurato. Si votasse domani, un partito del genere avrebbe percentuali irrisorie. Questo è il sentore del cittadino medio».

Vi battete contro un pregiudizio.

«Un partito di questo stampo, per noi, potrebbe chiamarsi con qualsiasi nome. Cambierebbe poco in effetti. Ma dietro al nome, del conservatorismo, vogliamo i valori: tutela dell’identità, italiana ed europea, tutela della religione, tutela della famiglia, tutela di un certo modo di fare impresa, tutela del principio meritocratico».

Intervista a Panorama del 1976. Diceva Prezzolini: un vero conservatore nell'Italia di oggi, in cui c'è nulla o quasi da conservare, sarebbe un rinnovatore. Fate vostro il concetto?

«Sì. Il conservatore non rifiuta l’innovazione. Ben vengano le riforme, ben vengano i cambiamenti: ma senza rinunciare a dei punti fermi che non possono essere messi in discussione. Anzi, il vero conservatore da quei punti fermi vuole ripartire. A differenza del progressista che vorrebbe invece distruggere i valori passati».

Quindi vi interessa anche marcare una differenza?

«Con proposte che a me, francamente, sembrano di buon senso. Cercheremo di farci capire da tutti».

La prospettiva di un tuffo in politica, però, c’è.

«Non siamo favorevoli alla spinta dei giovani nella vita pubblica in quanto tali. Non è sufficiente essere giovani. Ma è ovvio: qualcuno di noi, magari, ci proverà. Ma solo se si dimostrerà competente e preparato. Per ora sappiamo cosa vogliamo: il nostro scopo non è trasformare la politica, ma rinnovarla dall’interno».

 

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