Contro il protezionismo, per la crescita e lo sviluppo
Il dissenso verso la globalizzazione non è un mistero. È un sentimento trasversale che si avverte soprattutto nelle nazioni più colpite dalla recente crisi, ma anche in quelle economicamente più forti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove ad un miglioramento dei dati macroeconomici non corrisponde un aumento dei salari.
Come Competere ci opponiamo a questo vento populista e proibizionista, e al fianco della GTIPA, abbiamo firmato lunedì 3 aprile a Washington una dichiarazione congiunta in difesa del libero scambio e della globalizzazione, per mandare un segnale a sostegno della crescita e dello sviluppo.
Un recente studio (2016), a cura di Colantone e Stanig, ha osservato la correlazione tra avversione al libero scambio e risultati elettorali evidenziando come, in alcune regioni particolarmente esposte a shock occupazionali, un aumento delle esportazioni di prodotti cinesi, abbia spostato l’asticella elettorale verso partiti nazionalisti generalmente asserragliati su posizioni protezionistiche. A colpire di più è l’analisi dei dati a livello individuale, secondo la quale la radicalizzazione anti liberoscambista non riguarderebbe solo i disoccupati, ma anche altre categorie non colpite direttamente, come i pensionati.
Questo sentimento comune è giustificato? Ovviamente no. Uno studio della Commissione europea (2015) ha rilevato in che misura un più libero commercio favorisca, ad esempio, il lavoro italiano:
- · Le aziende italiane esportano per un valore di 219 miliardi di euro l’anno verso paesi extra UE.
- · Le esportazioni italiane verso i paesi extra UE sostengono oltre 2 milioni e 700 mila posti di lavoro in Italia.
- · Altri 402.000 italiani lavorano in settori connessi alle esportazioni di altri paesi UE verso paesi extra UE.
- · Questo significa che 1 lavoro su 8 in Italia dipende dalle esportazioni.
- · Le esportazioni italiane verso paesi extra UE sostengono oltre 367.000 posti di lavoro nel resto dell’UE.
Sono stati da poco celebrati i 60 anni della firma dei Trattati di Roma, forse è utile ricordare un passaggio importante della storia del nostro Paese. Nel 1958 (un anno dopo la firma del Trattato di Roma) il PIL crebbe del 6,6%, gli scambi registrarono per la prima volta un saldo attivo, la bilancia dei pagamenti registrò un avanzo nel 1959 e aumentarono gli investimenti esteri. La concorrenza europea costrinse le nostre imprese ad accelerare sul versante della competitività.
Come sosteniamo nella nostra dichiarazione, e i numeri e la storia non ci smentiscono, il protezionismo non genera ricchezza bensì riduce drammaticamente gli standard di vita dei cittadini. Per queste ragioni occorre raccogliere la sfida attuale e rilanciare con forza l’importanza della globalizzazione e del commercio internazionale per impedire che le spinte protezionistiche rallentino un processo di crescita e sviluppo.
Benedetta Fiani