Università: decreto Giannini, in crisi atenei italiani e diritto allo studio
A gennaio scorso era stato deferito dalla Ministra Fedeli il decreto firmato dall’ex Ministra Giannini il 12 dicembre 2016 (lo stesso giorno in cui il presidente del Consiglio Gentiloni, nominando i ministri del suo nuovo governo, dava il benservito alla stessa titolare di Viale Trastevere). L'ex ministra della Buona Scuola aveva fatto comunque in tempo a firmare il 'DM 987' (“Decreto autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio”) che rischia di segnare la fine dell'università italiana. Un decreto del quale non si comprende la ratio e con cui il nostro Paese si impoverisce, tradendo gli obiettivi fissati da Horizon 2020.
Quanto disposto dall'ex Ministra Giannini obbliga le università, in base al numero degli iscritti e non, si badi bene, in base al numero dei frequentanti, ad incardinare centinaia di nuovi professori entro l’anno prossimo, per una spesa che può arrivare anche a 20 milioni di euro in più all’anno per ateneo. Questo significa che già da gennaio 2018 le università italiane, per adeguarsi a quanto richiesto dal decreto, saranno costrette ad inserire il numero chiuso anche in quelle facoltà in cui finora non era previsto, come dimostrato dal caso dei corsi di laurea umanistici alla Statale di Milano.
E’ pronto lo Stato a pagare il denaro necessario a sostenere le università o preferirà chiudere gli occhi e costringere gli studenti italiani ad andare all’estero?
Gli atenei, statali e non, hanno già denunciato mesi fa l’impossibilità di far fronte a costi esorbitanti per l'incardinamento di centinaia di professori basato esclusivamente sul numero delle iscrizioni, un conteggio fissato su parametri decisamente superati. All'epoca la Ministra Fedeli promise l'apertura di un tavolo tecnico per una riflessione più seria sulle reali necessità delle università italiane. Dopo quasi un anno nulla è mai stato discusso e quel decreto è ancora minacciosamente nei cassetti del MIUR, deferito ma non cancellato.
Se il decreto andrà avanti così com’è stato previsto da Stefania Giannini gli atenei italiani non potranno più accettare nuovi studenti perché assolutamente impossibilitati ad affrontare le spese necessarie a pagare gli stipendi dei professori. Attenzione, maggiore esborso per gli atenei che non potranno essere utilizzati per investimenti nella ricerca o nei servizi agli studenti, ma solo ed esclusivamente per gli stipendi dei professori.
Invece che dare autonomia alle università italiane e lasciare che sia il mercato a stabilire quali siano gli atenei migliori, si mettono legami, lacci e lacciuoli vari che non fanno che mortificare l’accademia. Si rende più forte un sistema che ha già dimostrato in più occasioni di non funzionare, rifiutando di premiare i migliori docenti ma solo quelli con le giuste conoscenze.
Si dovrebbe puntare invece alla qualità, ad una didattica innovativa come quella già ampiamente utilizzata con successo all’estero e in qualche caso anche in Italia, a migliorare il livello dei servizi offerti agli studenti e delle strutture degli atenei italiani, per la maggior parte vetuste e antiquate.
Lasciare il decreto così com’è significa privare del diritto allo studio tutti gli studenti italiani: altro che numero chiuso, il rischio è la trasformazione del nostro in un sistema universitario destinato a pochissimi fortunati. Per sopravvivere senza i fondi necessari per pagare i professori gli atenei saranno costretti a impedire l’ingresso di nuovi studenti o ad aumentare in modo indiscriminato le tasse d'iscrizione, spingendo i ragazzi a rinunciare al percorso universitario. Una volta raggiunto il risultato di ridurre la popolazione studentesca poi, a tutti i nuovi professori assunti per decreto quale compito rimarrà se non aggirarsi per i corridoi abbandonati di atenei con pochi studenti?
Viene da chiedersi se non siano proprio le lobby del mondo accademico, in una cieca difesa delle proprie posizioni di potere, a spingere per l’attuazione del decreto Giannini. Un decreto che assomiglia terribilmente ad un regalo da parte del governo, a quelli che si ritengono i veri padroni dell’università italiana, i baroni.