Palazzi & potere

"Isis, Igor, tortura. Ecco la verità": parla il fondatore dei Gis

Al Festival delle Storie di Atina, in Ciociaria, l'incontro tra il Comandante Alfa, fondatore dei Gis (le teste di cuoio dei carabinieri) e il direttore del Tempo, Gian Marco Chiocci. Un faccia a faccia serrato sull' onda del clamoroso successo editoriale dell' ultimo libro - Io vivo nell' ombra - dell' ideatore delle forze speciali della Benemerita impegnate finanche in Afghani sta e Iraq. Ecco un sunto del lungo colloquio.
Una vita sotto copertura, senza nome, senza volto. Una vita sempre sul filo, tra la vita fatiche e di rinunce, perché per noi, oltre il lavoro, non esiste niente (...) Non siamo né Rambo né squilibrati mentali, siamo addestrati e consapevoli di sapere a cosa andiamo incontro. Fino ad ora abbiamo vinto perché abbiamo funzionato come squadra, come gruppo, noi siamo dei colleghi ma anche fratelli e amici. Solo così si può stare in un reparto speciale»


Del Gis si sa poco o nulla, scrive Il Tempo. Missioni impossibili, segretissime, blitz al buio, conflitti a fuoco. Tutto all' inferno nei paesi islamici...
«Tutto vero. Li conosciamo bene questi signori, sono il prodotto di un terrorismo non negoziabile, imprevedibile. Sono squilibrati mentali. Non hanno una tecnica o un progetto, puntano a creare terrore perché ci ritengono impuri, vogliono imporre la loro cultura. L' Italia è forse l' unico Stato al mondo che ha fatto 205 espulsioni, abbiamo fatto squadra per la prima volta tra istituzioni, intelligence, forze speciali, forse di polizia ed esercito. E i risultati si vedono. Non so se il fatto che non ci sia successo niente sia dovuto alla fortuna o alla nostra bravura, perché il rischio zero non esiste (...).


L' esperienza ci insegna che ormai gli attacchi vengono affidati a ragazzi radicalizzati. Chi li indottrina via internet o nei garage è il nostro vero obiettivo, dobbiamo colpirli alla radice.
Sono sbandati e labili di mente, diventano così dei lupi solitari. Se ci avete fatto caso sono anni che l'ISIS non colpisce più come organizzazione perché ci vogliono soldi e tempo, quindi adesso sfruttano solo questi sbandati in solitario».


E voi a combattere laggiù e far la guardia qua...
«È dura, durissima laggiù. Non conosci il nemico e ti colpisce da vigliacco. Quando vai a fare un' irruzione in quelle zone il problema è che ogni volta devi combattere. Permettetemi il paragone: è un po' come accade a Napoli quando la polizia arresta qualcuno e viene giù il quartiere. Solo che i terroristi non urlano come a Scampia, ti sparano addosso con tutto quello che hanno e quindi sei costretto a fare tre o quattro ore di conflitto a fuoco per portare la pelle a casa. Gli italiani spesso non sanno cosa facciamo per loro, e si chiedono cosa ci andiamo a fare in Afghani fosse. Però gli uomini del Gis sono parà provenienti dal Tuscania, tutti hanno i requisiti tecnici, sono forti fisicamente e caratterialmente, hanno uno spiccato spirito di colpo. A noi quello che interessa è la testa, ci interessa che il ragazzo stia a posto e sia convinto che farà sacrifici e rinunce senza credersi un eroe. Quanto alla paura la vinciamo in due modi: con l' addestramento e attraverso il cuore. Siamo talmente legati tra di noi che per salvare l' incolumità dell' altro siamo disposti a lasciare la nostra vita. Così ti senti forte, sai che non sei solo. La paura, però, a freddo, non la so spiegare. Ha un odore particolare, un silenzio particolare, è una cosa diversa ad ogni operazione. La paura, l' attesa, l' adrenalina e il cuore in gola sono lì perché sai che non potresti ritornare a casa. Ma noi abbiamo una linea immaginaria di non ritorno che pianifichiamo prima degli interventi, attraversata quella linea noi attacchiamo e non torniamo indietro, succeda quel succeda» L' emozione opposta? La commozione... «Niente da più soddisfazione che liberare una persona che è stata sequestrata per due anni, come Cesare Casella, uno degli interventi più difficili del Gis in Italia (...) Oppure quando liberammo la piccola Tacchella. Fu l' unica volta che mi tolsi il passamontagna, per non spaventarla. Mi disse: «Ti stavo aspettando». L' ho rivista 25 anni dopo alla presentazione di un mio libro, è stato un momento che non scorderò mai».


Carabinieri eroi, carabinieri o poliziotti presi a sputi, sassa te, sprangate per non parlare delle bombole di gas tirate per lo sgombero di via Curtatone..
«In questo momento storico fare il poliziotto o il carabiniere è davvero difficile. Vorrei chiedere agli italiani che vogliono vivere in sicurezza perchè si lamentano se per le strade trovano le forze dell' ordine armate fino ai denti o se interveniamo come si deve intervenire in determinate situazioni. Più sicurezza non significa limitazione di libertà di movimento. Quelle persone del palazzo sgomberato a Roma, come si è visto, non erano per niente convinte a lasciare lo stabile. Cosa doveva fare la polizia di fronte a sassi e bombole del gas? Chiedere, scusi? Permesso?»

Per non parlare del funzionario di polizia lanciato per quella frase...
«È stata data la carica e con l' adrenalina del momento può scappare una parola in più, ma quello di "spezzare il braccio" non era un ordine, era un modo per darsi coraggio. Non voglio pensare a quel che posso aver detto io in certe situazioni. Davvero non capisco tutte queste polemiche. Se non andiamo a sgomberare queste persone siamo immobili, se lo facciamo siamo violenti. Che dobbiamo fare? Mettetevi d' accordo. Lavoriamo per la collettività, della politica non ci importa».


Voi del Gis quando intervenite non usate i guanti bianchi...
«Diciamo che non siamo i carabinieri di Don Matteo».