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Palazzi & potere
Premio Strega: Affari intervista la finalista Lia Levi

Finalista al Premio Strega 2018 con il romanzo, Questa sera è già domani, Edizioni e/o, con cui ha vinto il Premio Strega Giovani 2018,  Lia Levi, 86 anni, di origine piemontese,  racconta la lotta per sopravvivere di un giovane ebreo genovese ispirato alla storia vera dell’amato marito, il saggista e giornalista Luciano Tas.
 

Cos’è la memoria storica? È un dovere collettivo civile?

È un dovere essere sensibilizzati e ognuno fa quello che può e questo fa parte di me come persona, ma voglio chiarire che io non scrivo per dovere civile ma perché è per me una passione nel profondo quella di scrivere, poi i temi che io tratto coincidono con questa battaglia della memoria, però la spinta non è quella, è una spinta letteraria che poi si trasforma in messaggio.

Dopo aver ripercorso i ricordi del passato in questo suo ultimo romanzo, che cosa ha provato?

È stato un grande sforzo anche iniziarlo questo libro, perché è legato ai fatti accaduti realmente a mio marito quando era ragazzo, e quindi c’era anche il fattore personale e intimo. La fatica è stata capire come avrei dovuto raccontarlo, perché la letteratura non è cronaca, i fatti sono fatti, ma come li vediamo, come li vogliamo trasmettere, come li rappresentiamo, questo è lo sforzo, non solo letterario, letterario e emotivo insieme. Perché quando mi sono sbloccata e ho visto che la storia cominciava a fluire, anche dentro mi si è sciolto qualcosa, anche nell’intimo, quindi non era solamente tecnica ma c’era anche l’interno della mia personalità. Quando ho terminato il libro ha prevalso la gioia, la gioia di trasmettere, la gioia creativa. La storia può essere triste, drammatica, come in questo caso, però quando l’hai resa storia raccontata, questo ti aiuta. È  successo anche a Primo Levi, che dopo aver  scritto “Se questo è un uomo”, disse: “Tra quello che mi è successo e il libro c’è come una muraglia che mi ha permesso di vivere il libro come una gioia”.

Cosa pensa del governo israeliano che ha dichiarato che l’esercito non farà passare i rifugiati siriani che cercano di attraversare il confine?

Questo tipo di problemi sono sempre molto complessi perché non hanno una soluzione semplice, non è sempre tutto chiaro come il bene e il male, certamente come moto di pietà di fronte agli esseri umani, il fatto di non far entrare delle persone suona sempre malissimo e in questo momento stiamo vivendo questo tipo di esperienza, in Italia e in Europa, quindi è una cosa molto triste... La motivazione non la conosco bene, ma capisco che il confine tra ciò che è opportuno, tra quello che politicamente è giusto e l’etica è molto difficile da trattare, perché ci sono talvolta anche motivi di necessità. Bisognerebbe affrontare i problemi ad un ad uno, cercando un equilibrio tra la politica e la morale.

Durante la promulgazione delle leggi razziali lei aveva soltanto 7 anni, che ricordi e quali tracce hanno lasciato in lei?

L’ho raccontata nel mio primo libro tutta la mia esperienza dall’inizio delle leggi razziali, quando i miei genitori, mio padre, mia madre, ci hanno nascosti in un convento, noi tre bambini. La mia era una famiglia di quelle protettive, di quelle che pensavano fosse meglio non spiegare niente ai bambini, raccontare solo i fatti come se fossero già acquisiti. Io bambina ho avuto forse meno scombussolamento però poi ne ho risentito psicologicamente, perché avvertivo quello che i bambini percepiscono: l’atmosfera, le vibrazioni e sentivo che c’era qualcosa di sproporzionato tra le poche cose che mi dicevano, cioè di cambiare scuola, di andare alla scuola ebraica e non mi sembrava una cosa così drammatica, e l’atmosfera che c’era in casa, il loro parlare sottovoce, il loro consultarsi sempre al telefono, sentivo che c’era qualcosa che non  andava, sia  in casa che fuori, ma non capivo cosa. È stata fonte di un altro tipo di turbamento, perché indistinto, forse sarebbe stato meglio avere di fronte a me l’oggetto del turbamento e che anche se sei un bambino ci puoi fare i conti.

Parliamo spesso della necessità di ricordare, del valore della memoria, del Giorno della Memoria…

Io sono molto favorevole al Giorno della Memoria e mi trovo in polemica con quelli che sostengono che è inutile, retorico, che non è sentito, che è una specie di rituale. Tutte le cose buone possono avere dei risvolti negativi, perché gli essere umani sono fatti così. Però è stato importantissimo avere questa data, questo punto di riferimento. Una pietra miliare, un punto su cui ci si ferma a riflettere e siccome io vado molto nelle scuole, noto che i giovani possiedono un’enorme sensibilità. Non è un lavoro passivo, i ragazzi non stanno lì solo ad ascoltare ma collaborano, partecipano, si immergono nelle storie private di quegli anni, vanno ad Auschwitz e tornano turbati ma coinvolti a livello di coscienza. Se poi ci sono delle ripercussioni negative ne terremo conto, noi operiamo con chi vuole lavorare.

Ad Evian les Bains ci fu la conferenza sui rifugiati ebrei con ben 32 Paesi presenti, nessuno volle accogliere gli ebrei nei propri confini. Ci sono delle analogie tra quel periodo e quello odierno?

Certamente ci sono delle consonanze, oggi si fanno dei convegni apposta, quindi un minimo di sensibilità sembra che ci sia, ma poi non si riesce a combinare niente perché alla fine tutti dicono: “Sì, accogliamoli ma non a casa mia” e alla fine non si riesce mai a trovare una soluzione.

Secondo lei quali sono le ragioni per le quali si continua a ripetere sempre gli stessi errori?

La psiche dell’uomo è così, l’uomo ha i suoi slanci solidali, ci sono gli eroi, i combattenti, i resistenti e poi ci sono i terrorismi e c’è pure una certa miopia a non vedere quello che c’è attorno a sé.  Non sempre si riescono a superare gli egoismi.

È  vero che decise da piccola di diventare scrittrice?

Sì è vero, ho scritto una lettera a me stessa grande perché avevo paura che da grande avrei rinnegato la mia ambizione di bambina. Le prime parole erano: “Ricordati che da grande devi fare la scrittrice”, e siccome lo scrissi su un librettino non l’ho perduta, quella lettera ce l’ho ancora.

Il censimento dei rom, il respingimento dei migranti, potrebbe verificarsi un nuovo 1938?

Quando ho sentito la parola censimento sono rimasta scioccata, addirittura sono andata a cercarmi un vecchio libro che scrissi anni fa sull’argomento. In un brano di quel libro scrivevo proprio che il termine censimento riguarda tutta la popolazione, se lo fai su uno spicchio di popolazione allora non è più un’ indagine, ma un atto politico che prepara la strada alla discriminazione. E’ stato angosciante.

Che effetto le ha fatto ricevere il Premio Strega giovani per il suo romanzo? Che rapporto hanno i ragazzi con la Storia e con la Memoria?

E’ stata una gioia grandissima, anche perché del tutto inaspettata. Pensavo avrebbero scelto uno scrittore giovane, invece quando hanno scelto la decana, mi hanno fatto fare un sobbalzo, in senso positivo. Una grande soddisfazione perché aver scelto il mio libro è un simbolo, ha un significato, vuol dire che questi temi loro li sentono.  Una conferma l’ho avuta nel momento in cui è stato dato alla Maturità il tema sulle leggi razziali, attraverso un brano del libro di Bassani. Più del 18% dei giovani l’ha scelto. Vuol dire che è un sintomo positivo e che si identificano con la sofferenza e l’ingiustizia patita da ragazzi come loro che hanno vissuto queste vicissitudini. E’ stata una scoperta molto bella per me.

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