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Palazzi & potere
Rai contro fake news; la proposta del Pd Michele Anzaldi

Quella contro le fake news è una battaglia difficilissima. E’ la battaglia di David, la qualità delle notizie, contro non uno ma due Golia: la quantità e la velocità dell’enorme massa di notizie circolate attraverso i social network. 

Il fenomeno, di cui si è parlato oggi su Radio 24 per un utile momento di confronto alla trasmissione di Giovanni Minoli "Mix 24", è reso evidente dai numeri. A fronte dei circa 60-65mila lanci giornalieri delle agenzie di stampa, Twitter produce – solo in lingua italiana – circa due milioni e 200mia tweet al giorno. In quelle stesse 24 ore, su Facebook vengono postate almeno 6 milioni di notizie. In più, lo spontaneismo e la diffusione della Rete fanno sì che la notizia sia contemporanea, e non più successiva,  al fatto. Questo rappresenta un ostacolo quasi insormontabile per chi si occupa del fact-checking, la fase di controllo e verifica della notizia. A meno che un editore non decida di impiegare centinaia di persone solo per verificare l’immensa mole delle notizie, è un’impresa illusoria. 

Eppure, quello delle fake news, è un oceano che può essere, almeno in parte, arginato. Un primo, possibile esempio ci viene dalla Francia, con un modello misto che coniuga il controllo diffuso degli utenti a quello qualitativo di tipo professionale. In vista della delicatissima campagna presidenziale di maggio, otto testate francesi (Le Monde, L’Express, Libération, France Press, Bfm, France Télévisions, France Medias e 20 Minutes) hanno annunciato un accordo con Facebook per ridurre la diffusione delle bufale. L’arma di cui si serviranno è un dispositivo che permette di avvertire gli utenti dell’affidabilità della notizia che stanno per leggere. I contenuti che gli utenti giudicano  “sospetti” verranno segnalati e convogliati in un sito. Qui, grazie al lavoro dei giornalisti delle otto testate che partecipano all’iniziativa, saranno sottoposti a un’attività di fact-checking. Se almeno due media stabiliranno che la notizia esaminata è falsa, allegando un link che lo dimostra, allora, dal quel momento in poi, quel contenuto apparirà marchiato come “fake news”.

Ancora più efficace può essere il sistema basato sugli algoritmi. Usare cioè le macchine, l’intelligenza artificiale. Opportunamente istruiti e controllati dai giornalisti, gli algoritmi potrebbero fare il lavoro sporco.  Ma bisogna lavorarci perché, pur essendo possibile, un sistema del genere ancora non esiste.

Se questo è il panorama, non si può non rilevare che il più grande editore italiano, la Rai, sconti un pesantissimo ritardo su questi temi. La creazione di nuove strutture, le assunzioni di nuovi mega dirigenti, non sono andati di pari passo con l’innovazione dei portali, che rimangono “preistorici” rispetto a quelli dei quotidiani. Con Raiplay è arruvato un primo segnale positivo, ma ancora resta molto da fare. Con le enormi risorse di cui dispone, il servizio pubblico non può permettersi ritardi del genere. La Rai avrebbe anzi il dovere di guidare l’avanguardia della lotta contro un virus, come le fake news, che rischiano di far ammalare l’intero sistema democratico.

A Viale Mazzini si sono posti questo problema? Come intendono sfruttare big data e algoritmi nell'informazione? Su questo il Consiglio di amministrazione deve dare delle risposte. Un primo passo potrebbe essere quello di creare un pool di esperti che lavorino su strumenti e algoritmi che possano aiutare a debellare questa vera e propria piaga delle fake news che altera il dibattito pubblico e mette in discussione le basi della società dell'informazione. Un altro, aggiornare la bozza della concessione di servizio pubblico, che nei prossimi giorni sarà esaminata dal governo, in modo da prevedere strumenti simili a quelli adottati in Francia. Di certo, senza far nulla Golia non potrà essere sconfitto.

 

Michele Anzaldi

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