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Palazzi & potere
Trump alla Casa Bianca, parla Mauro Luchetti Presidente HDRA
Trump cambierà davvero il modo di comunicare la politica americana? O alla fine farà come tutti gli altri?
 
È ovviamente difficile prevedere in quale direzione si muoverà la nuova amministrazione, anche se è probabile che le promesse di isolazionismo e protezionismo non troveranno una facile concretizzazione. E d’altronde è piuttosto complicato estrapolare qualcosa di simile a un programma di governo dal groviglio di proposte che Trump ha portato avanti durante la sua campagna.
 
Ha dalla sua clamorosamente la maggioranza, insolita nelle elezioni americane, sia alla Camera che al Senato. Questo gli permetterà, soprattutto in politica interna, di smantellare ciò che ha fatto Obama, a cominciare da Obamacare, e permetterà anche di far passare alcune delle riforme che ha promesso. Come quella che è stata il suo punto forte per tutta la campagna elettorale: la promessa di deportare i milioni d’immigrati illegali e la costruzione del muro con il Messico, su questi e tanti altri temi avrà una mano libera che né Obama, né Bush hanno avuto negli anni scorsi.
 
In campagna elettorale, se hai meno budget del tuo avversario, devi essere esagerato se vuoi fare notizia. E’ così che scali la catena mediatica e finisci sui giornali e le tv di tutto il mondo con le tue dichiarazioni. Ma ora che ha conquistato la Casa Bianca, Trump si accentrerà sempre di più, moderandosi. Ora è il Presidente degli Stati Uniti e non ha bisogno di dichiarazioni choc per fare notizia.
 
 
 
Quali ripercussioni potrebbero esserci nel mondo delle relazioni, nel modo di comunicare?
 
L’esito delle consultazioni sembra confermare una tendenza che già da qualche anno è diventata sempre più evidente, ossia che l’elettore “indeciso” tra le due parti non è più politicamente decisivo, perché la carta vincente è diventata la polarizzazione, la capacità di mobilitare anticipatamente quegli elettori che tendono a non votare, attraendoli con messaggi fortemente radicali. 
 
Una comunicazione vincente non passa più dai grandi media generalisti, né dalla grande stampa, ma da altre strade d’interazione comunitaria come sono soprattutto i social network. D’altronde proprio questa dinamica – che tende a chiudere gli elettori in spazi sempre più autoreferenziali – contribuisce almeno in parte a spiegare la tendenza alla polarizzazione. E forse proprio per questo la vittoria di Donald Trump ci suggerisce l’idea che la società della disintermediazione è anche una società senza più elettori indecisi.
 
 
 
E per l’Europa ci saranno novità, nuovi approcci e cambiamenti da parte delle aziende e delle istituzioni, mi riferisco in particolare alle multinazionali e alle istituzioni sovranazionali?
 
L’Europa costituisce, nonostante la retorica usata dai presidenti americani che ribadiscono il legame storico transatlantico, una regione periferica nelle strategie politiche statunitensi. Non solo con Obama, anche se con la sua presidenza ciò è diventato più evidente con la strategia cosiddetta del ‘pivot to Asia’, il Pacifico rappresenta sempre di più la zona di maggiore interesse strategico per la tutela degli interessi americani e la riaffermazione della leadership statunitense. L’Europa, tuttavia, non sembra rappresentare “the central drama” dell’azione statunitense a livello globale.
 
Trump, già durante la sua campagna elettorale, aveva annunciato che avrebbe rilanciato l’economia Usa con tagli alle tasse e il dietrofront sui trattati commerciali internazionali (come il Nafta), che a suo dire penalizzano gli Usa. Un’azione dunque contro la globalizzazione economica e diretta anche a costringere le multinazionali a riportare il lavoro in America. Ci saranno aggiustamenti anche significativi rispetto al tema del trattato transatlantico (TTIP), fortemente avversato da ampi settori dell’opinione pubblica repubblicana, e un ammorbidimento  nei confronti del risorgere di una politica di potenza da parte della Russia.
 
Ma l'Europa deve prendere coscienza di se stessa per migliorare la propria prospettiva futura e, d'altra parte, Trump già ha dichiarato che gli Stati Uniti penseranno essenzialmente ai propri interessi, disimpegnandosi anche nell'ambito della Nato. Realisticamente, però, con Trump alla guida degli Stati Uniti i rapporti con l’Europa non subiranno cambiamenti così radicali: dopo un primo scontro iniziale in cui due visioni politiche e due modi tanto diversi di comunicare entreranno in collisione, probabilmente nel giro di  1 anno e mezzo si arriverà ad un compromesso. Del resto le parole del Presidente della Commissione europea Junker sono emblematiche “ Con Trump l’Europa avrà due anni di ritardo”.
 

Anche le aziende e le Istituzioni  europee resteranno in attesa di capire quale sia il nuovo atteggiamento di Trump per poi entrare nella scia delle nuove strategie politiche statunitensi che hanno fatto, da sempre, da volano per la crescita e l’innovazione nel  Vecchio continente.
 

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mauro luchettihdra





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