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Palazzi & potere
Usa, nel Michigan si può capire il successo di America first

Se la Rai facesse il servizio pubblico anziché replicare il modello delle tv commerciali, gli italiani potrebbero essere informati meglio. La Rai invece, accanto a una pubblicità asfissiante (che è l'alimento delle tv commerciali) gode anche del canone obbligatorio esatto d'imperio come se fosse un'imposta. Quindi, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi in quanto emittente tv che deve rastrellare pubblicità, abbassa il livello dei suoi programmi per fare audience, cioè raccogliere pubblico, che è quello che poi attira gli inserzionisti come il polline fa con le api. In aggiunta a questi introiti pubblicitari, la Rai ha ottenuto, dalla benevolenza dei partiti, anche il canone, che invece dovrebbe finanziare le trasmissioni che, non essendo variamente trash, attirano meno pubblico, pur essendo indispensabili in un paese che non può essere alimentato solo da robaccia tv.

La Francia e la Germania, ad esempio, con una parte dei soldi del canone televisivo, hanno dato vita a un canale pubblico denominato «Arte» che viene realizzato da una redazione binazionale e bilingue (franco-tedesca) che si esprime con le stesse trasmissioni in entrambi i paesi, adottando però, da una parte e dall'altra, le due lingue nazionali. Arte quindi mette il potentissimo strumento televisivo al servizio di trasmissioni di qualità per far crescere l'informazione e la consapevolezza nei due paesi dov'essa viene diffusa.

Nei giorni scorsi, ad esempio, Arte ha mandato in onda un'inchiesta accuratissima, documentata, per nulla propagandistica e solo accuratamente documentaria, dedicata alla ricognizione dello sfascio di uno stato Usa, il Michigan, che un tempo era esemplare, sul piano delle sviluppo economico e sociale, ma che adesso, dopo la grande crisi industriale, prima ancora di quella finanziaria, si è ridotto, in pratica, a una specie di no man's land, una terra di nessuno. Il panorama del Michigan è alla Blade Runner. Macerie, residui, sbrecciati e pieni di ruggine, dei grandi impianti industriali di un tempo, polvere dappertutto, spesso sollevata da venti implacabili, gente che cammina senza meta su strade deserte, poveri zombie, svuotati di tutto, anche della voglia di protestare.

Arte, oltre a far parlare tutti coloro che, nel Michigan svuotato di ogni speranza, hanno qualcosa di significativo da dire, cerca di portare le sue telecamere dentro edifici moderni. Gli unici funzionali, utilizzati e puliti. Ma dove i giornalisti di Arte sono subito dissuasi di entrare con dei metodi convincenti che hanno impedito loro, in modo brutalmente convincente, di mettere il naso. Sono, queste strutture moderne che assomigliano alle hall degli aeroporti, delle cliniche (quasi tutte svizzere) per la raccolta del sangue a pagamento. Non si tratta di posti dove, come succede in Europa, il sangue viene donato, quasi sempre sotto il controllo pubblico, ma di edifici dove il sangue viene venduto. In quantità eccessive e con frequenze preoccupanti.

I venditori di sangue del Michigan attendono, anche loro fuori dall'edificio, il loro turno. Sono ciondolanti, svuotati, rassegnati, sconfitti. A tal punto che, opportunamente interpellate dai telecronisti di Arte, si dimostrano addirittura riconoscenti nei confronti delle organizzazioni che succhiano loro il sangue. «Se non ci fossero loro», spiegano, «non sapremmo come sopravvivere. Ci pagano poco, ma ci pagano subito».

Il pastore nero di una povera chiesa lì vicino è sgomento. Spiega che la vendita per bisogno del sangue, oltre che essere dannosa al corpo, è devastante per la psiche. I venditori di sangue (mi veniva di usare la parola «donatori»), dice il parroco, «non fanno un gesto di generosità nei confronti dei loro simili ma si fanno rovistare dagli aghi delle multinazionali per cercare di sopravvivere». Questo pastore di colore è una figura umile ed immensa che riscatta la rassegnata devastazione del posto, con la sua presenza e con una bella immagine che rende evidente l'orrore che sta avvenendo nel paese più ricco del mondo: «La gente in coda per il prelievo», dice il pastore, «è ridotta a vendere sangue. Un tempo producevano delle macchine alle catene di montaggio, adesso vendono l'intimo di loro stessi».

Sono finiti così perché, a un certo momento, le forze politiche americane di sinistra che, lo dice la parola stessa, avrebbero dovuto tutelare la vita di questi poveracci, li hanno gettati sul lastrico. Forse non se ne sono nemmeno rese conto. Ma i poveracci, sul lastrico, ci sono finiti sul serio. Non c'è spazio per questi poveracci nel mondo radical chic newyorkese, nelle università blasonate con le rette impossibili che hanno costretto l'umanità in chart e algoritmi, e se i poveracci non ci stano dentro, in queste chart e in questi algoritmi, essi vengono tolti con la stessa tecnica che con Photoshop si usa per ringiovanire le signore, togliendo loro le rughe dal viso. L'importante non sono loro, i poveracci, ma le pubblicazioni, i congressi, i Nobel a strafottere (e concessi spesso con la stessa disinvoltura con la quale uno di questi è stato concesso addirittura a Dario Fo, che però, rispetto a molti di costoro, che nella loro carriera hanno sostenuto il tutto e il contrario di tutto, potrebbe anche essere considerato un luminare).

Ecco perché lo slogan America first, prima l'America (che poi è diventato, con Trump, un programma di governo) ha subito attecchito, almeno nelle urne, ma evidenziando anche una incipiente ripresa dell'attività industriale considerata da seppellire nei paesi ad alto reddito (sia pure malamente distribuito). Forse questa nuova politica, osteggiata da tutti i ceti economici, culturali e politici a stelle e strisce che contano, non riuscirà a invertire il corso del fumo. Ma almeno ci tenta. Nulla è mai scontato. Niente non può essere contrastato. La deindustrializzazione felice, auspicata da chi contava, e in particolare dai guru del web esentasse, non c'è stata. S'è vista la deindustrializzazione. Ma non la felicità. Forse bisognerà rifare i conti. Prima che succeda l'irreparabile.

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