Politica
Pd e Lega non escludono il "no". 'Bomba' sul taglio dei parlamentari
Grandi manovre in vista del referendum del 20-21 settembre
Per ora è solo un'indiscrezione. Un'ipotesi di agosto. Ma un'ipotesi che potrebbe sconvolgere il quadro politico delle prossime settimane e dei prossimi mesi. Per motivi diversi, il Partito Democratico e la Lega di Matteo Salvini potrebbero invitare gli italiani a votare no al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari in programma domenica 20 e lunedì 21 settembre.
Tra i Dem a esprimersi contro la riforma tanto cara ai 5 Stelle è stato recentemente il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, voce per ora isolata nel principale partito del Centrosinistra ma che ha un ottimo seguito tra gli amministratori locali del Pd. Nicola Zingaretti ha usato parole forti mettendo in guardia gli alleati di governo: entro il 20 settembre, uno dei rami del Parlamento, dovrà aver dato il via libera alla riforma della legge elettorale in senso proporzionale (sbarramento al 5%).
L'accordo di maggioranza che ha fatto nascere il Conte II prevede che il taglio dei parlamentari, votato in Aula al quarto scrutinio anche dal Pd (nelle prime tre votazioni i Dem si erano espressi contro), sia accompagnato da una nuova legge elettorale proporzionale. Poi è arrivato il dietrofront di Italia Viva che ha stracciato l'intesa schierandosi per una riforma che ricalchi la legge in vigore per l'elezione dei sindaci (maggioritaria) e anche i 5 Stelle si sono mostrati recentemente freddini e non così convinti di correre in Parlamento sulla riforma che sostanzialmente copia il modello tedesco. Ed ecco che nel Partito Democratico è suonato più di un campanello d'allarme.
E' vero che a Montecitorio i renziani sono ininfluenti, e quindi il testo della maggioranza passa comunque, ma poi al Senato il proporzionale potrebbe essere affosato. Non solo, il Pd teme che le profonde divisioni tra i pentastellati portino al solito gioco di veti e controveti frenando o addirittura bloccando la riforma elettorale. E ora più di un parlamentare sta accarezzando l'idea di schierarsi sulle posizioni di Gori e di votare no al taglio dei parlamentari. O quantomeno di non fare campagna elettorale lasciando libertà di voti ai propri elettori.
Itaia Viva difficilmente potrà votare no, visto che il referendum che costò Palazzo Chigi a Renzi prevedeva proprio la riduzione del numero di deputati e senatori. Anche sul sì di LeU, e ovviamente del M5S, non ci sono dubbi. Il Centrodestra, come al solito, si divide. Fratelli d'Italia, che fa della coerenza una bandiera, voterà sì al referendum così come ha fatto per ben quattro volte in Parlamento. In attesa che si esprima Silvio Berlusconi, molti esponenti autorevoli di Forza Italia si sono espressi per il no, con l'azzurra Deborah Bergamini (berlusconiana storica) che ha pubblicamente apprezzato l'uscita del Dem Gori.
C'è poi il capitolo Lega. Salvini ha votato in Parlamento il taglio dei parlamentari - anche molti esponenti del Carroccio a microfono spento si sono fin dall'inizio mostrati dubbiosi - nelle prime tre occasioni come frutto dell'accordo di governo con i 5 Stelle e poi per coerenza (e con la speranza che si andasse alle urne subito). Il democristiano Gianfranco Rotondi, che certo non è né un sovranista né un salviniano - ha invitato l'ex ministro dell'Interno a votare no ("un gol a porta vuota") per riprendersi il Paese facendo così cadere il governo.
E' evidente infatti che un'eventuale bocciatura della riforma chiave per i 5 Stelle e per Beppe Grillo provocherebbe un terremoto tale che molto difficilmente l'esecutivo potrebbe andare avanti. I leghisti sono incerti, da un lato temono l'accusa di difendere la casta che arriverebbe dal M5S votando no, ma dall'altro lato fiutano il colpaccio (visti anche i dubbi del Pd) per mandare a casa l'esecutivo e andare immediatamente alle elezioni. D'altronde il refrain del risparmio per lo Stato è facilmente confutabile visto che il taglio dei parlamentari ogni italiano potrebbe bersi un caffè all'anno.
E non è certo la riduzione del numero degli eletti che aiuterà i conti pubblici ad arginare l'aumento del deficit e del debito. Insomma, Salvini e i vertici del Carroccio non escludono il clamoroso dietrofront in vista del 20-21, anche perché ad oggi i sondaggi danno il sì in testa ma non in modo schiacciante. E, in teoria, la partita potrebbe essere difficile ma non impossibile. Da Fratelli d'Italia rifiutano ogni tatticismo politico e calcolo di partito, ma dalla Lega qualcuno ribatte che con l'astuzia Renzi è al governo (3% nei sondaggi) mentre con la coerenza il Centrodestra rischia di restare all'opposizione per tanto, tanto tempo.