Politica

Referendum, comunque vincono Renzi e… Berlusconi?

Massimo Falcioni


Ci si può dividere sui pregi e sui limiti del SI e del NO ma non sul fatto che il voto del 4 dicembre ha una forte connotazione politica. La riforma resta sullo sfondo ma il voto è, di fatto, su Renzi e il suo governo. Ciò per responsabilità principale del premier, non un errore di strategia o di propaganda bensì un capolavoro di insipienza politica: in un sol colpo è riuscito a spaccare il proprio partito e ad unire sotto l’ombrello del NO quasi tutti i suoi avversari. Anche l’armata frastagliata e multicolore del NO preme sul tasto politico del voto dando addosso a Renzi, nella convinzione che per vincere sia sufficiente che l’avversario sbagli e che gli italiani siano più attratti ad andare alle urne per dare un segnale di opposizione a chi governa restando invece incerti o scettici nel merito della questione referendaria. E’ comunque la guerra di Renzi contro tutti gli altri e di tutti gli altri contro Renzi. Quando rullano i tamburi di guerra godono i guerrafondai di professione. Così la cosiddetta sinistra (del Pd e dintorni) vive il suo momento di gloria, ma è un fuoco di paglia, incapace di riscaldare e convincere la maggioranza degli elettori del piddì, figuriamoci il resto. Dei circa 10 milioni di elettori del Pd quanti ne porta con sé, sul NO, Massimo D’Alema? Se meno del 20% (ma è grasso che cola…) il “lider Maximo” perde la sua ultima battaglia, costretto a uscir di scena con la coda fra le gambe. Sul fronte del NO i voti decisivi sono altri a portarli, non D’Alema & compagni. Ma quale credibilità politico-istituzionale hanno i veri portatori del voto del NO, da Grillo (i sondaggi danno il M5S sul 30% dei voti, circa 10 milioni di elettori) a Berlusconi (sul 10%), Salvini (sul 12%), Meloni&C, cioè coloro che già s’azzuffano per mettere la propria bandierina  sull’eventuale vittoria anti renziana? Sono questi i difensori della “vecchia” Costituzione? Il capo del M5S “non riconosce” la Costituzione (specie la sua prima parte), vuol dare un colpo di spugna ai partiti, ai corpi intermedi, alla partecipazione popolare puntando sulla democrazia diretta digitale. La Lega a trazione Salvini alza la bandiera antieuropea e del razzismo. Lo stesso Berlusconi è il capofila dell’antipolitica, del partito padronale, del più gretto populismo. Insomma, un mix di leader e di partiti che sono l’architrave (anche elettorale) del NO incuranti di essere loro stessi i primi affossatori della prima parte della Costituzione che dicono di voler difendere. Invece di mettere a nudo l’incoerenza e la linea di scontro politico degli avversari cercando di estendere il proprio bacino elettorale Renzi è stato il primo incendiario e adesso resta col cerino in mano. Le lezioni del passato non servono. Nella difficile battaglia referendario sul divorzio del 1974 il PCI di Berlinguer si rivolse con apertura e realismo anche all’elettorato dei partiti avversari, in primis a quello democristiano per aiutarlo a capire che non si trattava di votare contro la DC in quanto tale, ma contro le scelte illiberali e retrive di Amintore Fanfani, alfiere della crociata che poi lo travolgerà.

Chi ha in mano le redini del governo (del potere) deve imprimere a una campagna elettorale su un nodo così delicato e complesso una linea di pacatezza, di serenità, di illustrazione argomentata della legge e delle sue modifiche,  dei suoi contenuti e dei suoi effetti, una linea di concretezza accompagnata al richiamo dei grandi motivi ideali che animarono i padri costituenti. Una campagna elettorale che doveva (che deve!) assumere quell’ampio ed elevato respiro coerente con le grandi questioni in gioco necessarie per portare gli italiani ad interessarsene e andare in massa alle urne con convinzione, oltre gli steccati dei partiti, oltre il confine maggioranza-opposizione, sapendo che il referendum è da sempre un voto trasversale.  Andava evitato l’errore principale, quello della “Crociata”, dividendo il Paese, facendo del referendum una battaglia fra chi vuole il cambiamento e chi vuole rimanere inchiodato al passato. Dentro questo quadro, fra una settimana si vota. Quali conseguenze potrà avere il risultato e quali sbocchi politici aprirà? Il voto può riservare sorprese, cancellare limiti ed errori di entrambi gli schieramenti ribaltando anche le incoerenze più vistose e rilanciando il gioco delle tre carte. Un voto che per Renzi è la cartina del tornasole della sua reale attuale forza politica. Solo il trionfo del NO e la debacle del SI mette Renzi ko, costringendolo alle dimissioni da premier e alla resa dei conti nel Pd. Vincendo o anche perdendo di misura, ma superando il 30% dei voti, il premier-segretario sarebbe comunque il leader elettoralmente più forte, pronto a procedere come un rullo compressore nel Pd, a proseguire con il suo governo o, dopo una breve fase con un Renzi-bis, giocarsi il tutto per tutto con elezioni anticipate, al massimo in primavera. Con un risultato da quasi “pari e patta” spunterebbe un altro… vincitore, quel Silvio Berlusconi quasi disarmato con quel che resta di Forza Italia sulla sponda del NO, con la sua corazzata Mediaset a dar fiato più che si può al SI, dove brilla, in tandem col sempre verde Confalonieri, anche il fidatissimo Letta senior. Con l’aria che tira, per non mandare tutto a carte quarantotto, la soluzione di un “governissimo” con una ampia coalizione vedrebbe il Cav  pronto con il suo clan a rientrare nella stanza dei bottoni, con Matteo-bis a Palazzo Chigi. Grillo? No tu no! D’Alema? A leccarsi le ferite. Bersani&C? A far passare il tempo nelle beghe del Pd. E L’Italia? Si vedrà.