Politica
Referendum, il No spiegato con una sola frase
Il rasoio di Occam è uno di quei dati culturali che si rischia sempre di dimenticare. Anche ad averne un’idea, si è sempre rosi dal dubbio: “Ricordo bene o ricordo male?” Eppure la tesi del filosofo medievale William of Ockham era elementare: se la soluzione di un problema appare chiara e lineare, è inutile scervellarsi a cercarne altre, che probabilmente saranno meno esatte. La pluralità e complessità delle ipotesi non sono garanzie di migliore verità. Non bisogna vergognarsi delle soluzioni elementari. Ché anzi, se vi accusano di essere “semplicisti”, dovete sparare fra le gambe dell’avversario, come un petardo, la domanda: “Conosci il rasoio di Occam?” È una carognata, ma funziona. Alla semplicità bisogna rinunziare soltanto se comincia a dimostrarsi sbagliata.
Riguardo al referendum, non bisogna farla troppo lunga. Sono inutili le approfondite considerazioni giuridiche e politiche, per spiegarne il risultato. Innanzi tutto la gente non s’è affatto interessata a quelle considerazioni; poi perché non le avrebbe capite; e infine perché, anche a capirle, difficilmente sarebbe stata capace di svilupparne le implicazioni. E comunque in nessun caso avrebbe raggiunto una conclusione incontestabile. Tutta questa è materia eminentemente opinabile. Immaginiamo un dialogo prima del voto.
Se Renzi vince il referendum, dice il primo, non cambierà mai l’Italicum e col ballottaggio avremo un uomo solo, che comanda ad un solo partito, che comanda nell’unica Camera, che comanda all’intero Paese. Per cinque anni. Ma - risponde il secondo - ci lamentiamo da sempre dell’immobilismo italiano, della nostra incapacità di cambiare radicalmente ciò che c’è da cambiare, e dovremmo perdere questa occasione? Dovremmo andare tutti a votare affinché, con questo sistema, ci sia finalmente la possibilità di realizzare quel rinnovamento radicale di cui abbiamo un disperato bisogno. Ma il primo ribatterebbe: “Bellissimo, quello che dici. Sempre che quella libertà di manovra non serva a mandare a ramengo l’intera struttura democratica ed economica della nazione. Un grande potere è un bene o un male, secondo chi lo detenga”.
Alla fine, come si vede, ognuno, piuttosto che con la testa, vota con le budella o, se vogliamo essere meno volgari, con le sue speranze. La soluzione giusta può darla soltanto il futuro: e il disgraziato la dà quando ormai è troppo tardi. E purtroppo la materia è tecnicamente troppo complessa per applicarle il rasoio di Occam. La verità di un voto popolare va ricercata in una spiegazione più semplice e lineare, quale quella che può motivare un singolo poco interessato e poco informato. In questo caso essa è tanto facile che la si può condensare in una sola frase: Renzi ha promesso che, in caso di “no” se ne sarebbe andato, e gli italiani l’hanno mandato via; ché anzi, in assenza di quorum, per essere sicuri di non mancare il risultato sono andati in massa a votare. Forse ciò che ha illuso il nostro Presidente del Consiglio è stato il fatto che in Parlamento ha ricevuto un mare di voti di fiducia. E non ha tenuto sufficiente conto che per tutti i parlamentari - suoi sodali o transfughi interessati – l’alternativa era quella di perdere il seggio e la pensione.
Magari ha veramente creduto di avere la sincera fiducia degli italiani. E così, per azzerare una volta per tutte l’accusa di non essere stato eletto, gliene ha chiesto direttamente la conferma. Il risultato è stato clamorosamente l’opposto dello sperato. I cittadini, felici dell’occasione, gli hanno dato un sonoro calcio nel sedere. Temendo inoltre che gli elettori di sinistra, molto disciplinati, si recassero in massa a votare “sì”, mentre gli altri cittadini, come sempre scontenti e scoraggiati, rischiavano di rimanere a casa, si sono loro per primi scomodati per andare a votare “no”.
Ciò spiega anche il voto del Sud, dove il “no” ha stravinto benché l’affluenza sia stata comparativamente bassa. Niente riflessioni giuridiche. Niente passione civile per la costituzione, come scrive il pur acuto Michele Ainis. È stato un voto di sfiducia pronunciato da un popolo che, diversamente da deputati e senatori, non rischia di perdere la poltrona. Ché anzi non soltanto non ha una poltrona, spesso non ha nemmeno un lavoro. Quando può farne a meno, un uomo politico dovrebbe evitare di chiedere investiture popolari. Lo stesso De Gaulle – che di meriti nazionali ne aveva ben più di Renzi – finì col doversi ritirare per avere chiesto un “sì” di troppo ai francesi. Ma lui, almeno, era già maturo per la pensione.
Gianni Pardo
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