Referendum istituzionale, la vera sfida è l'affluenza
Ma i partiti ormai sono in crisi. Analisi
Un milione di firme depositate tra i sostenitori del sì e quelli del no sono una buona notizia per la democrazia del nostro Paese. Sono un milione di voci di persone che i partiti hanno raccolto per dimostrare la forza popolare che sta alla base della battaglia sulla riforma costituzionale e quindi alla base dello stesso referendum che ne deciderà le sorti. I prossimi mesi che ci porteranno al 6 novembre (data presunta per il referendum) saranno densi di confronti serrati sul perché votare sì e sul perché votare no. Avremo quindi modo di parlarne ampiamente e anche di entrare nel merito delle strategie che verranno adottate.
Quello che invece sarebbe decisivo approfondire subito è uno dei punti centrali che potrebbe delineare le prospettive del referendum, ma nondimeno dal referendum quelle elettorali amministrative e politiche conseguenti. Il tema è la partecipazione al voto: votare o non votare, prima ancora di votare sì o votare no.
Negli ultimi due anni abbiamo avuto in Italia 2 turni elettorali parziali tra elezioni amministrative e regionali e 2 turni nazionali, le elezioni europee e il referendum sulle trivellazioni. Come noto in tutte queste occasioni l'astensionismo ha segnato prima la sua crescita e poi il suo radicamento, passando da notizia sorprendente (per chi non aveva guardato già i numeri più interessanti dal 2009 in poi) a fenomeno sociale. Alle Europee del 2014 in particolare l'elettorato italiano si spaccò quasi a metà tra il 54% circa che partecipò e il rimanente 46% circa che decise di "andare al mare". Al referendum di aprile 2016 sulle trivellazioni la partecipazione si è fermata intorno a un italiano su tre. E, complici anche le date del voto parecchio avanzate nel calendario (il 31 maggio nel 2015 e il 5 giugno nel 2016, con relativi ballottaggi a scuole chiuse in entrambi i casi), le Regionali e le Amministrative hanno resistito di più ma segnando comunque una complessiva fuga dal voto di cifre importanti dei cittadini. Basti pensare all'esempio di una città a forte partecipazione come Milano che arriva a eleggere un sindaco con il 50% degli elettori al voto.
Le ragioni dell'astensionismo sono tante e incrociano la crisi economica che crea sempre più comunità atomizzate in individui soli e senza protezioni e sicurezze, la crisi di legittimità dei partiti come aggregatori e motivatori al voto, le delusioni per le aspettative di cambiamento che superano per il momento i risultati o che suscitano resistenze conservatrici. E molte altre.
Il punto è che sia per chi vuole vincere il referendum in autunno che per chi vuole vincere le prossime tornate elettorali (a cominciare da quella delle Amministrative 2017 e continuare poi con quella delle Politiche teoricamente nel 2018) non si può più guardare da spettatori all'astensionismo come un evento esogeno con cui fare i conti a posteriori. Al contrario proprio il referendum sulla riforma costituzionale deve e può essere la migliore opportunità per strutturare dal 2016 ai prossimi anni un processo elettorale che in altri paesi (gli Stati Uniti per cominciare) è già parte determinante di tutte le campagne elettorali: il processo per motivare al voto o per gestire attivamente il non voto e non subirlo.
Come noto il referendum costituzionale non necessita del raggiungimento di un quorum per passare, ma proprio per questo è il terreno ideale per sperimentare e mettere a sistema tecniche, strategie, strumenti e messaggi in grado di incidere sul primo indicatore di funzionamento di una democrazia, la partecipazione elettorale.
Con un'avvertenza. Nei paesi che prima di noi hanno affrontato questa sfida il ruolo dei partiti è diventato su questo terreno complementare rispetto a quello di associazioni nate appositamente o principalmente per questo. Se i partiti sono una delle cause dell'aumento dell'astensionismo difficilmente ne possono essere anche la soluzione o almeno non in forma esclusiva. E i media sono l'altro soggetto protagonista di questa sfida. Soprattutto se si rendono conto di essere anche loro come i partiti una parte della causa oltre che della soluzione della fuga dal voto.