Renzi, l'idea fissa del voto. E' campagna elettorale permanente - Affaritaliani.it

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Renzi, l'idea fissa del voto. E' campagna elettorale permanente

Massimo Falcioni

Vista la malaparata, con il disco rosso del capo dello Stato, Matteo Renzi ha tolto il piede dall’acceleratore...

 
Vista la malaparata, con il disco rosso del capo dello Stato, Matteo Renzi ha tolto il piede dall’acceleratore che sull’incidente di percorso in commissione affari istituzionali poteva mandare in tilt la maggioranza e condurre alla crisi di governo. Un colpo a vuoto, l’ennesimo, per l’ex segretario-premier, costretto a rimettere la mordicchia ai suoi dopo averli mandati baldanzosi in avanscoperta per tentare il casus belli prendendosela con gli ex – i cosiddetti “scissionisti” – e premere sui due massimi inquilini di Palazzo Chigi e del Colle tornando a inseguire la chimera: crisi di governo-elezioni anticipate. Una brusca inversione a “U” che non evita a Renzi&C la figuraccia per un modus operandi da quaquaraquà nell’aver tentato di strumentalizzare le Istituzioni ai giochi delle beghe politiche. Ma ciò evita, per adesso, il ko dell’esecutivo Gentiloni e lo sbocco delle elezioni politiche anticipate a breve, tenendo tuttavia il governo a “bagnomaria” e il Paese sui carboni ardenti dell’instabilità politica in uno status di campagna elettorale permanente di ben dieci mesi, se si vota a febbraio 2018. Va con sé che in questa lunga fase di penombra i problemi dell’Italia restano in secondo piano sacrificati agli interessi di partito, in primis del Pd, e a quelli dei rispettivi capi e capetti. Renzi continua a giurare che la legislatura compirà il suo iter naturale considerando una jattura la semplice previsione di una sua fine anticipata. Poi nei fatti, lo stesso Renzi, se il 30 aprile uscirà (chi ne dubita?) con l’incoronazione dalle primarie, tornerà a dar fuoco alle polveri, sparigliando il gioco e cercando ogni incidente di percorso per fare saltare il banco. In Matteo resta la “voglia matta” di crisi di governo per puntare all’obiettivo che ritiene essenziale per il suo rilancio politico e il possibile ritorno a Palazzo Chigi: le elezioni politiche anticipate entro l’anno. Ma in Italia e altrove tira brutta aria. Il sentiment prevalente nel Paese è di delusione e sfiducia nella politica per la sua inadeguatezza e la mancanza di prospettiva di uscita dalla crisi, di rabbia e frustrazione per la inarrestabile commistione fra politica e affari; per la corruzione, le ingiustizie, i privilegi delle caste a danno della migliore Italia del fare; di paura per i venti di guerra di queste ore, per il terrorismo che non dà tregua, per l’imperversare dell’ondata migratoria fuori controllo che alimenta insicurezza; di incertezza per la crescita economica fragilissima, per la spada di Damocle di una manovra correttiva tappabuchi, orientata ad aumentare di fatto le tasse senza sforbiciare la spesa pubblica. In questo quadro, la scommessa di Renzi – crisi di governo ed elezioni anticipate entro i 2017 - è un azzardo: per se stesso, per il suo partito, per il Paese. D’altra parte, una eventuale caduta di Gentiloni, non necessariamente condurrebbe al voto, vuoi per il niet del capo dello Stato deciso a non sciogliere le Camere senza una riforma elettorale tutt’ora in alto mare, vuoi per la volontà della maggioranza dei parlamentari di non fare le valige anzitempo pronti, in caso di patatrac, anche a votare una fiducia “tecnica” pur di non mandare tutto a carte quarantotto. Il pallino è in mano al Pd, un pentolone-gruviera e sempre in ebollizione anche dopo la recente scissione della sua scheggia sinistra, un Pd che invece di sostenere adeguatamente e “garantire” politicamente l’esecutivo lo lascia in bilico, sulla corda del trapezio. Questo perché Renzi e il suo Pd considerano quello di Gentiloni, solamente un “governo amico”, pro tempore, come accadeva spesso ai tempi della DC, un governo ad uso e consumo delle turbolenze e delle beghe interne al partito. Di fatto Renzi, da qui alle elezioni, intende utilizzare il Pd come “partito di lotta e di governo”, da usare come potente leva di potere (le ultime nomine nelle partecipate pubbliche, l’iter sulle privatizzazioni, i progetti di fusione fra Ferrovie e Anas ecc.), ma da cui prendere le distanze in caso di rischio per il consenso, come dimostrano i distinguo sulla manovra correttiva (Matteo intende la prossima finanziaria non come strumento economico per tamponare le malconce finanze italiane ma uno strumento politico, uno spot elettorale, cercando di imporre a Padoan l’alt a nuove tasse con il congelamento della clausola Iva, la riforma del catasto da rinviare ad majora, fino ai ritocchi alle accise sulla benzina ecc.), una bomba ad orologeria che potrebbe esplodere con conseguenze alle urne nefaste per il pidì e per il suo Dux. E’ Renzi, sempre più debole nei sondaggi, a tirare i fili del governo Gentiloni, con la possibilità (estrema) anche di staccargli anzitempo la spina. Un ruolo scomodo, quello dell’ex premier, che ha in mano il cerino acceso, in una situazione generale che può diventare una polveriera. Già, perché incombe l’ombra minacciosa di Grillo, con i sondaggi che danno il M5S – per nulla rallentato dal flop del governo della Capitale anche per l’inconsistenza politica e progettuale delle opposizioni - primo partito, proiettato a occupare la poltrona di Palazzo Chigi. Cercando incidenti di percorso, come quello di martedì al Senato sul caso Torrisi, si rischia non solo di erodere la già traballante credibilità di Renzi e del suo Pd, isolandoli, ma di aprire ancor di più la strada al M5S. A forza di gridare “Al voto! Al voto!” poi il voto arriva davvero. E se poi le urne bocciano Renzi e premiano Grillo? Il popolo, si sa, è sovrano. Ma lo è davvero anche in questa democrazia che si trasforma da rappresentativa in “recitativa”, dove al popolo è assegnata solo la parte di comparsa alle urne?