Renzi e le chiacchiere al caminetto, l'Italia a rischio monologhi
Di Ernesto Vergani
Nella settimana in cui hanno prevalso il concetto di un democratico come il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ("Renzi non offenda la Commissione"), e i mercati che hanno deprezzato le Borse speculando a Piazza Affari sui titoli bancari, passata la tempesta, i comunicatori del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lanciano la strategia delle "fireside chats", le chiacchiere al caminetto.
Così si chiamavano le conversazioni radiofoniche, inaugurate nel 1933, di Franklin Delano Roosevelt, il presidente degli Stati Uniti che con riforme economiche e sociali (il cosiddetto "new deal") traghettò gli Usa fuori dalla crisi del 1929. L'analogia: la crisi del 1929 negli Stati Uniti fu superata da Franklin Delano Roosevelt, quella iniziata nel 2008 in Italia lo sarà da Matteo Renzi. Ovvio la (si spera) verità sarà letta nei libri di storia dalle generazioni future.
Ciò che fa oggi venire dubbi è la modalità comunicativa. Il timore che queste comunicazioni di Renzi si trasformino in monologhi. Che ospitando il premier, i giornalisti non rinuncino a fare il proprio mestiere, riportare la verità sostanziale dei fatti, liberi di esprimere critiche e opinioni. Senza soprattutto astenersi dalla completezza dell'informazione (troppo facile evitare argomenti spinosi, fingere di non sentire e vedere).
Le riforme strutturali ci sono e l'economia riparte. Ci sono però anche problemi di trasparenza sul decreto salva-banche e sul presunto conflitto di interessi della ministra Maria Elena Boschi (un incidente di percorso che non rappresenta il nuovo, ha titolato questa testata giornalistica.). C'è un Parlamento eletto nel febbraio del 2013 in cui un parlamentare su quattro ha cambiato casacca. Gli ultimi tre presidenti del Consiglio (Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi) sono stati incaricati non a seguito di elezioni politiche ossia come espressione della volontà popolare.