Politica

Renzi, senza la sinistra: opposizione o governo con il burattinaio Berlusconi

Massimo Falcioni

Sbaglia chi pensa che di fronte agli ultimi sondaggi con il Pd a picco (27%) superato dal M5S (27,2%) Matteo Renzi cambi linea. All’opposto, il segretario del Pd procede per la sua strada, con l’elmetto in testa e con la baionetta in canna, minacciando di far fuori gli ultimi indecisi della minoranza interna cancellandoli dalle liste elettorali e premiando con il diritto di tribuna chi si ravvede, chiudendo ogni collaborazione presente e futura all’”altra sinistra”, marcando apparentemente il distacco dal centrodestra berlusconiano ben sapendo che, dopo il voto, l’ex Cav lo riporterà a Palazzo Chigi grazie a una inedita maggioranza di “moderati” i cui fili saranno tirati dal “burattinaio” di Arcore. E la nuova legge elettorale? Non ci sono le condizioni politiche e non ci sono i numeri per procedere. Quindi, a meno di nuovi colpi di scena in zona Cesarini, si usa quel che c’è, pur se Camera e Senato saranno eletti in forme differenti. Mesi e mesi di trattative buttati al vento. “A Renzi sta bene così – chiosa l’ex direttore de l’Unità Peppino Caldarola – perché non vuole una nuova legge elettorale che induce alle coalizioni”. Insomma, meglio soli che male accompagnati, molti nemici molto onore. Renzi è pronto alla battaglia decisiva. Rassicurare l’Italia dei moderati, parlare direttamente a questa maggioranza silenziosa con la faccia del bravo ragazzo che ha appena rubato due dita di marmellata ma che promette di non farlo più avvertendo che i suoi avversari si pappano tutta la marmellata e fregano anche il barattolo e incolpano gli altri. L’obiettivo è uno solo: il consenso. I delusi di sinistra che abbandonano il Pd? Chissenefrega! Minoranza di una Italia del passato. Ci sono altre praterie dove pascolare e portare a casa voti. Liberarsi della sinistra intesa come zavorra, presentarsi agli italiani come baluardo anti caos, agitare lo spettro del rischio dell’invasione dei “barbari” grillini, da sbeffeggiare dopo il fallimento della “prova del budino” con il governo dell’Urbe. Ecco la linea del PdR, la cosa di Matteo, riverniciando le insegne logore della bottega di Bersani&C che non c’è più.

Con l’area di sinistra che si attesta sull’8,1% (Insieme di Pisapia è dato all’1,9%) e, sull’altro fronte, con l’area di centrodestra al 32,7% davanti all’area di governo (30,2%), Renzi spinge quindi sulla paura: i cittadini sono delusi e sfiduciati ma non vogliono salti nel buio. Non fu così anche per la Democrazia Cristiana votata per oltre 40 anni dagli italiani. pur “turandosi il naso”, per paura dei comunisti al governo? Sì, ma quella DC, oltre allo Scudo crociato baluardo anti comunista, e pur soffocata dalle beghe correntizie del potere, aveva ideali, contenuti, programmi di governo orientati dalla “dottrina sociale della Chiesa” e resi operativi nel dopoguerra da personalità quali De Gasperi e Moro e da gruppi dirigenti forgiati negli studi, nelle battaglie sociali, nell’esercizio del governo a tutti i livelli e selezionati democraticamente dalla base che contava, partecipava, proponeva, premiava e puniva. Quella Dc era partito di potere ma anche partito delle idee, capace di fare politica, mediazioni, alleanze, ma anche lungimirante nel percepire i problemi, i bisogni, le aspettative di una società in evoluzione traducendoli in azione politica e di governo. Ciò valeva, sul fronte opposto, per lo stesso Pci, partito di massa, con i suoi ideali (marxisti-leninisti via via scoloriti), con i suoi obiettivi strategici (la via italiana al socialismo), con il suo nucleo centrale (la classe operaia), con gruppi dirigenti di ogni gruppo sociale e culturale, forgiati nella lotta antifascista e poi nelle lotte delle campagne, delle fabbriche, delle scuole, protesi verso l’alleanza con i ceti medi, facendo accordi con gli altri partiti per risolvere problemi, rafforzare la democrazia, non far precipitare l’Italia nel caos. Idem per il Psi, prima con Nenni frontista poi protagonista dell’avvio “rivoluzionario” del centro-sinistra, poi con Craxi riformista e autonomista capace di rompere con la tradizione marxista-leninista e di mettere in discussione la sinistra sotto l’egida del Pci. Tanti limiti ed errori della Dc, del Pci, del Psi e delle rispettive leadership ma idee, valori, progetti, capacità di governo sostenute dal consenso democratico degli italiani. Cos’è oggi il Pd? La “rottamazione”, anche opportuna, non crea identità, progetto, linea politica. Si rischia il rigetto. La voglia punitiva contro Renzi e il suo Pd è per molti italiani l’unica molla per portarli alle urne.

Nell’orgia mediatica quotidiana mancano le antenne per intercettare le aspettative e i timori del singolo cittadino. Al giovane disoccupato e sfiduciato e all’imprenditore senza più commesse e credito strangolato da burocrazia e tasse  si risponde che i dati Istat assicurano la ripresa. Al cittadino che vive col terrore degli immigrati e di una insicurezza mai subita prima si fanno spallucce non facendosi carico di tensioni crescenti, riproponendo dopo 600 mila sbarchi ricette demagogiche quanto confuse come l’aiuto economico “a casa loro”,  il numero chiuso degli ingressi, lo jus soli, di fatto lasciando gli italiani nella paura del futuro e l’Italia da sola – con l’Europa che se ne lava le mani - col cerino in mano in una polveriera.  Tanti gli esempi negativi. O Renzi ritrova il rapporto di fiducia con gli italiani o il suo Pd alle elezioni sarà travolto. D’altra parte il minestrone a sinistra del Pd s’avvita su se stesso perché  oggi il dialogo col pidì senza Renzi e domani l’alleanza col pidì senza Renzi è velleitarismo se non infantilismo politico. Così la “nuova sinistra” si condanna all’irrilevanza e all’opposizione. Vale anche per Renzi che chiude a sinistra? No. Perché Matteo e il suo Pd non mancheranno l’appuntamento con Berlusconi.