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Riforma dei medici di famiglia: cosa cambia, obiettivi, critiche

Il nodo dell'assunzione diretta da parte dello Stato dei medici di base invece dell'attuale libera professione convenzionata. La formazione, gli orari, il ruolo delle Case di Comunità

di redazione

Riforma dei medici di famiglia: cosa cambia, obiettivi, critiche

Il governo Meloni è tornato a discutere il 12 febbraio della riforma dei medici di base. Al vertice di Palazzo Chigi erano presenti la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro della Salute Orazio Schillaci, il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga. Tra i punti chiave affrontati, la trasformazione del rapporto di lavoro dei medici di famiglia, che potrebbero passare da liberi professionisti a dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Medici di famiglia: perché una riforma?

L'attuale modello di medicina generale, basato sulla libera professione convenzionata con il SSN, ha mostrato diverse criticità, soprattutto durante la pandemia. Molti esperti e amministratori regionali hanno sottolineato come la mancanza di una struttura organizzativa centralizzata abbia reso difficile garantire servizi adeguati sul territorio, come l'esecuzione tempestiva di tamponi e assistenza domiciliare. Inoltre, le carenze di personale e la difficoltà nel reperire medici per le Case della Comunità, strutture finanziate dal PNRR, hanno spinto il governo a cercare nuove soluzioni.

Negli ultimi anni, il numero di medici di base disponibili è progressivamente diminuito, con un conseguente aumento del carico di lavoro per i professionisti rimasti in servizio. In alcune regioni, la carenza di medici ha reso quasi impossibile garantire un'assistenza adeguata a tutti i cittadini, specialmente nelle aree interne e meno popolate. Questo ha portato a un sovraccarico dei pronto soccorso e delle strutture ospedaliere, aggravando ulteriormente le difficoltà del sistema sanitario.

Medici di famiglia: le modifiche previste dalla riforma

La riforma prevede che i nuovi medici di famiglia vengano assunti direttamente dallo Stato come dipendenti del SSN. Coloro che già operano nel sistema potranno scegliere se mantenere il regime di libera professione o aderire al nuovo contratto. Il modello prevede inoltre una riorganizzazione degli orari di lavoro, con una copertura garantita dalle 8 alle 20, attraverso la suddivisione dell'impegno settimanale in base al numero di pazienti assistiti:

Fino a 400 assistiti: 6 ore di visite mediche e il resto dedicato alle esigenze territoriali;

401-1.000 assistiti: 12 ore di visite;

1.001-1.200 assistiti: 18 ore;

1.201-1.500 assistiti: 21 ore;

Oltre 1.500 assistiti: 24 ore dedicate ai pazienti

Il nuovo modello di lavoro impone la presenza dei medici non solo nei propri studi, ma anche all'interno delle Case della Comunità, che dovrebbero diventare il perno della sanità territoriale. Queste strutture, finanziate con 2 miliardi di euro dal PNRR, sono pensate per fornire assistenza continuativa con servizi diagnostici avanzati, riducendo la necessità di ricorrere ai pronto soccorso per prestazioni di base.

Medici di famiglia: i corsi formativi

Dal punto di vista formativo, la riforma prevede la trasformazione del corso triennale per medici di famiglia in una specializzazione universitaria di quattro anni, equiparata a quella degli ospedalieri. Questo cambiamento mira a valorizzare la professione e ad attrarre nuovi laureati. Attualmente, il corso di formazione triennale regionale garantisce borse di studio di circa 11.500 euro annui, molto inferiori rispetto ai 26.000 euro previsti per le specializzazioni ospedaliere. L'obiettivo della riforma è colmare questo divario e rendere più competitivo il percorso di formazione per i medici di medicina generale.

Le critiche e le perplessità alla riforma dei medici di base

Nonostante l'obiettivo dichiarato di migliorare la sanità territoriale, la riforma ha sollevato numerose obiezioni. Le associazioni di categoria, tra cui la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), temono che il passaggio alla dipendenza possa compromettere il rapporto fiduciario tra medico e paziente, trasformando i professionisti in semplici impiegati del SSN. Inoltre, l'obbligo di lavorare nelle Case della Comunità potrebbe ridurre la capillarità dell'assistenza nei piccoli centri, costringendo i cittadini a spostarsi per ricevere cure.

Un altro punto critico riguarda l'aumento delle ore lavorative e la gestione dei turni, che potrebbero rendere meno attrattiva la professione per i giovani medici. Attualmente, molti medici di base operano in regime di convenzione con orari flessibili, mentre il nuovo sistema imporrebbe un monte ore fisso di 38 ore settimanali, potenzialmente meno vantaggioso rispetto alle opportunità offerte dal settore privato o dall'estero.

Inoltre, esiste il nodo della sostenibilità previdenziale: attualmente i medici di famiglia versano contributi all'Enpam, l'ente previdenziale di categoria, mentre con il nuovo sistema dovrebbero passare all'Inps. Questo cambiamento solleva interrogativi sulla tenuta finanziaria del sistema previdenziale e sulle garanzie pensionistiche per i medici.

Infine, c'è il problema delle Case della Comunità: nonostante i 2 miliardi stanziati dal PNRR, molte regioni non sono ancora riuscite a renderle operative a causa della carenza di personale. Un'eventuale obbligatorietà della presenza dei medici in queste strutture rischia di creare un ulteriore squilibrio, senza risolvere le criticità esistenti. Ad oggi, delle 1.420 Case della Comunità previste entro il 2026, solo 413 sono state attivate, e molte operano con un numero insufficiente di medici.

Medici di base: una riforma necessaria ma divisiva

La riforma della medicina generale rappresenta un tentativo di riorganizzare il sistema sanitario territoriale per renderlo più efficiente e accessibile. Ma il dibattito resta aperto e nei prossimi mesi proseguirà serrato il confronto tra governo, Regioni e sindacati, alla ricerca di un equilibrio tra esigenze dei cittadini, sostenibilità economica e valorizzazione della professione medica.