Politica
Stefano Feltri (“Domani”): “Mario Draghi al Quirinale conviene a tutti"
"Sostituirlo a Palazzo Chigi non sarà un problema: nell'anno preelettorale non sarà comunque possibile fare nulla di significativo"
Corsa al Quirinale: le interviste di Affari Italiani ai direttori degli altri quotidiani/Stefano Feltri ("Domani")
Lunedì 24 gennaio prenderanno il via le votazioni per eleggere il Presidente della Repubblica. La scelta del successore di Mattarella tiene banco ormai da mesi, ma con l’avvicinarsi del momento della verità le trame si fanno più fitte ed appassionanti. Nel suo ciclo di interviste sul tema, Affari Italiani ne parla con Stefano Feltri, direttore del quotidiano “Domani”.
Che effetto ti ha fatto l’ultimo colpo di teatro di Berlusconi, ovvero il brusco stop alla sua “operazione scoiattolo”?
“Beh, Berlusconi non era considerato credibile come Presidente del Consiglio nel 1994 eppure ce lo siamo ritrovati al potere per un ventennio, seppure a fasi alterne. Sbagliamo noi a stupirci del fatto che lui voglia sentirsi protagonista di questa partita! Chiaramente la sua è una corsa che non ha mai avuto grandi basi: i numeri per essere eletti al Quirinale sono tali che questo progetto non è mai sembrato molto credibile. Tuttavia, ancora una volta Berlusconi è riuscito a fare quello che gli riesce meglio: tornare al centro della scena. Ha chiarito che comunque bisogna passare da lui e che non lo si può dare per politicamente morto. Non credo proprio che andrà al Quirinale, ma è tornato centrale. Almeno nelle dinamiche del centrodestra”.
Eppure si dice che nemmeno nel centrodestra il sostegno nei suoi confronti fosse così compatto, visto che in prospettiva delle elezioni 2023 sia a Salvini che a Meloni converrebbe avere un Presidente della Repubblica che li accrediti in Europa meglio di quanto potrebbe fare Berlusconi….
“Io ho sempre scritto di considerare come unico scenario razionale quello nel quale il centrodestra diventa il motore dell’elezione di Draghi al Quirinale, perché serve a tutti. Serve a Salvini perché deve essere parte della maggioranza che elegge il Presidente e non può permettersi un altro Capo dello Stato diffidente nei suoi confronti, come lo è stato Mattarella. Meloni ha sempre espresso il suo rispetto nei confronti di Draghi e anche lei ha bisogno di qualcuno che la legittimi nel suo passaggio a leader del centrodestra. Inoltre, ho sempre pensato che anche per Berlusconi la cosa più razionale fosse diventare il grande elettore di Draghi: ha poche chance di arrivare lui al Quirinale e già due volte ha tratto benefici dal sostegno a Draghi, ovvero nel 2005 quando è diventato Governatore della Banca d’Italia e nel 2011 con il suo passaggio alla BCE. Poco dopo infatti arrivò la lettera co-firmata da Draghi che ha allungò la vita del governo Berlusconi… che peraltro fece cattivo uso del tempo concessogli. Uno come Draghi, che non gli è mai stato ostile, in questo momento è il massimo a cui Berlusconi può puntare”.
È invece un po’ più difficile capire quale sia invece l’obiettivo del centrosinistra. Non pare che ci sia un candidato di bandiera, ma il desiderio di arrivare a una soluzione condivisa, di unità nazionale: Draghi potrebbe quindi essere la soluzione migliore per tutti?
“Secondo me vanno separate le posizioni dei due partiti principali. Sembra un’era geologica fa, ma nel 2013 il Movimento Cinque Stelle guidò il dibattito sul Quirinale con la candidatura – eticamente geniale – di Rodotà, che non era un suo esponente bensì un uomo del centrosinistra tradizionale, che però divenne un candidato forte e mobilitante. Poi però i grillini non sono più stati in grado di guidare il gioco e ora ne sono proprio scomparsi, avendo delle grandi difficoltà strutturali”.
E invece il Pd?
“È un discorso diverso. Sta elaborando il trauma di non essere il partito che può dare le carte e tantomeno quello che esprimerà il prossimo Presidente. Dopo Napolitano, Ciampi e Mattarella, ora la situazione è molto diversa e i Dem la stanno gestendo male. Invece che essere loro a proporsi come grandi elettori di Draghi, stanno sempre ad aspettare le mosse del centrodestra, per poi reagire. Finora hanno semplicemente detto: ‘No a Berlusconi’, ma non hanno mai proposto Draghi, non hanno mai appoggiato veramente l’ipotesi del Mattarella-bis e non hanno nemmeno mai cercato di proporre un nome terzo. Il loro unico nome è Giuliano Amato, un esponente del centrosinistra che effettivamente può piacere anche a pezzi del centrodestra, ma nemmeno nel suo caso hanno fatto una proposta reale, rimanendo ad aspettare la prima mossa degli avversari”.
Convergere su Draghi potrebbe quindi far comodo a tutti, senza lasciare sul campo vincitori e vinti. Ma quale sarebbe il punto di caduta per il governo, visto che nessuno vuole andare a votare?
“E’ molto semplice: proprio perché nessuno vuole andare a votare, una soluzione si troverà. In questo modo la legislatura durerà fino al 2023 e si potrà gestire la legge elettorale. Un compromesso verrà individuato, anche perché in un anno preelettorale chiunque può fare il primo ministro: riforme e grandi progetti non si potranno fare, visto che tutti i partiti faranno campagna elettorale uno contro l’altro, pur rimanendo in maggioranza insieme. Questa è anche la vera ragione, secondo me, per la quale Draghi preferisce trasferirsi al Quirinale. A Palazzo Chigi possono tranquillamente andare Colao, Cartabia o comunque un profilo che confermi più o meno lo stesso governo, magari con i leader di partito al suo interno, come ha suggerito Salvini, ma senza la pretesa di fare grandi cose”.
Si parla molto della ministra Cartabia, anche perché c’è un tema di genere che continua a rimanere irrisolto…
“Beh, Cartabia ha qualità e limiti che vanno al di là della questione di genere e noi abbiamo scritto sia delle une che degli altri. Però il tema c’è: ha ragione chi dice che le donne andrebbero valutate per i loro meriti, al di là delle quote rosa, ma anche chi pone il problema che la questione della competenza viene sollevata solo per loro, mai per gli uomini. Diciamo che avere finalmente una donna a Palazzo Chigi, con Draghi al Quirinale, darebbe un’immagine del Paese diversa da quella che avremmo con Berlusconi Presidente della Repubblica e Draghi dimissionario”.
Condividi la sensazione che l’interesse suscitato dall’elezione del Presidente della Repubblica tra gli addetti ai lavori non si rispecchi granché nel sentire dei cittadini, alle prese con altri problemi?
“È la politica in generale ad appassionare sempre meno. Però in questa fase invece noto un certo interesse, non certo per i tatticismi legati all’elezione, ma perché il Presidente della Repubblica per molti italiani in fondo è quello del messaggio del 31 dicembre e dei momenti difficili, è la sintesi dell’identità nazionale. Parlando con la gente mi pare di sentire una certa curiosità su quale faccia rappresenterà l’Italia nei prossimi sette anni”.
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