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Ucraina, ecco come Trump ha costruito la delegittimazione di Zelensky. Commento

L’agguato istituzionale nella Sala Ovale della Casa Bianca visto con gli occhi del cerimoniale

di Enrico Passaro*

Ucraina, ecco come Trump ha costruito la delegittimazione di Zelensky. Commento 

L’opinione pubblica è ancora esterrefatta per quanto è accaduto nei giorni scorsi nella Sala Ovale della Casa Bianca. L’andamento del colloquio (ma potremmo dire l’agguato) tra Trump e il suo vice Vance da una parte e il Presidente ucraino Zelensky dall’altra ha lasciato tutti senza parole. Al di là della varietà di considerazioni di carattere politico, strategico, umano, riferite a simpatie o antipatie personali, chi è abituato alle regole di cerimoniale è in grado di fare delle valutazioni di carattere diverso. Il protocollo internazionale si articola attraverso passaggi precisi e sempre condivisi in occasione di incontri bilaterali fra Capi di Stato.

Gli addetti al cerimoniale concordano le modalità di accoglienza, i momenti destinati alla comunicazione e alla soddisfazione dei media, i luoghi, le scenografie e le modalità dell’incontro, la collocazione delle delegazioni al seguito e quindi di chi è ammesso nella sala dei colloqui; garantiscono infine la riservatezza dei contenuti della discussione.

Partiamo dall’arredamento. Come da prassi due poltrone per i due leader, affiancate dai divani per le delegazioni al seguito. Dal lato di Zelensky, tra gli altri, l’ambasciatrice ucraina negli Stati Uniti, quella che è apparsa con le mani nei capelli e disperata in numerose immagini. Dal lato di Trump il primo posto del divano era occupato dall’agguerritissimo e sodale Vice Presidente Vance. Fin qui, tutto secondo le regole. Alle spalle dei due leader (perché anche Zelensky è tuttora un leader, checché ne pensi il Presidente statunitense), c’era il tradizionale caminetto contornato dai quadri d’epoca alla parete e ben quattro bandiere delle forze armate, compresa la guardia costiera (non c’era, almeno visibile, quella dell’aeronautica, chissà perché), con le rispettive decorazioni. Al centro un tavolino con il vistoso stemma degli Stati Uniti d’America.

Non c’è traccia della tradizionale disposizione di bandiere nazionali che si prevede in questi casi: bandiera ucraina alle spalle dell’ospite e bandiera degli Stati Uniti dietro al padrone di casa. Ribadiamo che, in quanto Capo di Stato, Zelensky avrebbe diritto a ricevere il saluto con l’esecuzione dell’inno nazionale e la disposizione della propria bandiera nella sala dei colloqui. Né l’uno nell’altra. Pare che le bandiere fossero state sistemate solo nella sala dove si sarebbe dovuta tenere la successiva conferenza stampa, non avvenuta per il fallimento dei colloqui.

Continuiamo ancora con quanto è visibile nella Sala Ovale: i leader e le delegazioni erano curiosamente circondati da altre presenze in piedi, in particolare giornalisti e telecamere, addirittura un inviato della Tass imbucatosi senza accredito. Ora, in genere la presenza di fotografi e cameraman è ammessa solo all’inizio dei colloqui, per immortalare il momento, ma poi vengono cortesemente invitati a lasciare la sala prima che la riunione entri nel vivo. Qui invece gli estranei hanno assistito a tutto l’incontro e addirittura un giornalista si è permesso di intervenire per offendere l’abbigliamento non formale di Zelensky (l’ucraino dall’inizio della guerra usa questo tipo di vestiario).

Altra considerazione: il colloquio, o meglio l’aggressione verbale avviene tutta in inglese. Zelensky avrebbe potuto ottenere di esprimersi nella sua lingua col supporto di un interprete, forse avrebbe trovato più parole per difendersi e più tempo per pensare a come ribattere, ma pare che lui stesso abbia preferito cimentarsi con l’idioma del padrone di casa. Errore tattico, ma forse comunque non sarebbe servito a cambiargli il destino.

Dopo di che, si sviluppa l’assalto congiunto e apparentemente concordato del Presidente e del Vice Presidente USA nei confronti del Presidente ucraino. Categorico, irrispettoso, violento, come abbiamo visto tutti. E sì, perché ce l’hanno fatto vedere tutto e non è un caso che sia avvenuto davanti alle telecamere. Scene senza precedenti nella storia della diplomazia internazionale. È pensabile che discussioni altrettanto animate siano spesso accadute nella storia, ma certamente a porte chiuse nel segreto delle stanze, lontane dagli occhi e dagli orecchi dell’opinione pubblica e comunque rispettando le regole non scritte di decoro e di ospitalità. Poi i dissapori vengono limati o espressi in termini diplomatici nelle comunicazioni ufficiali, che fanno comprendere la mancanza di convergenze sugli obiettivi dell’incontro, rispettando sempre la dignità degli attori. In questo caso invece tutto fa pensare a una commedia (o una tragedia) abilmente (ma preferirei dire grezzamente) messa in piedi per delegittimare pubblicamente l’ospite dell’incontro. Diversi indizi fanno una prova dell’agguato architettato.

Dov’è finita la diplomazia? Cosa ne è stato e cosa resterà del protocollo, del cerimoniale? L’era Trump sta stravolgendo anche questi aspetti delle relazioni fra le nazioni e della vita pubblica delle istituzioni.

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*Enrico Passaro, già responsabile dell'Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha visto sfilare a Palazzo Chigi ben sette premier, da Silvio Berlusconi a Mario Draghi, passando per Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte.