Politica
Usa. Cosa nasconde l’assalto al Congresso. La rottura del patto sociale
L’irruzione nel Campidoglio Usa? Ieri si è vista la rottura di quel patto sociale tra cittadini e classi dirigenti occidentali. Cosa non vi dicono. L’analisi
C’è poco da fare, ieri si è vista la rottura di quel patto sociale tra cittadini e classi dirigenti occidentali di cui da tanto si parla, una rottura che come una dorsale malata sta sbriciolando la classe media di buona parte del mondo.
Battersi il petto, piangere sul tempio dissacrato, condannare le violenze di ieri sono esercizi retorici che non ci permettono di capire. Così siamo nel campo del fanatismo quando si descrive Trump come capo di una gang o i vertici Democratici come una setta di pedofili.
Si può sostenere che il problema sia Trump, il suo show. Se fosse così basterebbe cancellarlo, distruggerlo, cosa che probabilmente i vertici della società americana faranno, senza guardare nella pancia di una democrazia che non sembra funzionare più tanto. Trump non è una causa ma un effetto di quella società in difficoltà.
Migliaia di americani arrivati dalla provincia profonda, famiglie con bambini e anziani al seguito, erano a Capitol Hill per manifestare pacificamente il proprio dissenso per la presunta frode. Ci possono essere tutti i gruppi estremisti che vogliamo ma non si organizza un’insurrezione con bambini di 10 anni o vestiti da vichinghi con cappelli di pelliccia e corna, arrampicandosi a mani nude su per un muro, tra un selfie con la polizia, sorrisini da cheerleader e uno sventolio di bandierine. Ieri sfilava nel cuore della capitale americana non una parata neonazista ma quella società bianca, tradizionale, delle periferie povere che la ricca borghesia statunitense chiama “losers”, “i perdenti”, fatta di ex lavoratori integrati, agricoltori, ex militari, commessi, operatori del terziario, nel commercio e umanità varia unita contro la globalizzazione e accomunata dal disprezzo con il quale l’establishment li tratta. Coloro che a torto o a ragione vedevano in Trump un riscatto e che non ci stanno a farsi ricacciare nella povertà.
Quei “perdenti” stanno ingrossando le proprie fila da 30 anni, dalla caduta del Muro di Berlino, da quando la nostra società ha iniziato a trasformarsi con un processo inesorabile. Gli establishment hanno tratto vantaggio da una globalizzazione senza sosta, brutale, senza vincoli, da una finanziarizzazione dell’economia illimitata, che spiana e distrugge ogni realtà locale, esaltate da potenti tecnologie in mano a privati che sfruttano le debolezze degli utenti per vendere loro merci. Chi ha pagato e paga il conto di questo mondo trasformato e in parte devastato, negli Stati Uniti come da noi, sono proprio i “losers”, “i perdenti” che prima con la recessione economica e oggi con la pandemia vedono la loro condizione deragliare inesorabilmente, senza vie d’uscita, verso una povertà non solo economica ma anche di senso. Per “i perdenti” della globalizzazione anche le parole, in cui credevano, si sono di colpo ritrovate ad essere ignobili, rozze, politicamente scorrette, fasciste, sessiste, razziste, inadeguate.
I cittadini americani, e chi vive nelle società Occidentali, di fondo accettano le differenze economiche tra chi è ricco e chi è povero, tra chi lavora a Wall Street e chi fa lo sguattero, chi è colto e chi ha un basso livello culturale. Accettano perché nella società c’è una dinamica che permette di sperare per migliorare la propria condizione sociale. Nelle gesta di questi “normali”, reietti ed ex integrati, lanciatisi come bombe contro l’establishment del Campidoglio è saltato quel patto e la speranza in quella dinamica. E’ bastata una scintilla per farli esplodere perché erano già minati da tempo.
Non sta più in piedi il rapporto attuale tra governanti e governati, tra istituzioni e cittadini, tra forze politiche e peones sociali. E saranno inutili le morali di media e politici a ridicolizzarli ogni giorno, trattandoli come complottisti psiconazisti. Non basta più.
Quando le disuguaglianze si divaricano e per te e il tuo mondo da anni non c’è più via d’uscita qualcosa di quel patto sociale si rompe definitivamente e le cose che fino a quel momento erano accettabili non lo diventano più.
Una grande lacerazione a livello sociale e culturale che nessuno sta pensando di ricostruire e sanare e che con la crisi economica in cui siamo piombati potrebbe presto rivelarsi qualcosa di più profondo di uno show.