Politica
Viaggio nella crisi dei 5 Stelle. Non solo Ilva. E il governo rischia
Di Maio sotto attacco, Fico debole, scouting Lega. E Conte...
L'ultimo, disperato, tentativo di trovare una mediazione sull'ex Ilva di Taranto tra il premier Giuseppe Conte - pressato da Partito Democratico e Italia Viva - e Luigi Di Maio - sotto attacco dall'ala dura del Movimento 5 Stelle guidata da Barbara Lezzi - è quello dello scudo penale a tempo, ipotesi alla quale una fetta di senatori grillini ha aperto ma solo a condizione che ArcelorMittal torni a sedersi al tavolo delle trattative. Ma il vero nodo politico che rischia di mandare in corto circuito la maggioranza, prima ancora delle delicatissime elezioni regionali in Emilia Romagna del 26 gennaio 2020, è il caos nei 5 Stelle.
Il ministro degli Esteri non ha più l'appeal di un tempo ed è quotidianamente messo in discussione da più fronti interni. Qualcosa che accade da mesi ormai e che ultimamente ha registrato un'accelerazione. Come dimostra in maniera plastica l'empasse sull'elezione del capogruppo alla Camera (che procede con drammatiche fumate nere), ruolo per il quale si è candidato proprio in chiave anti-Di Maio anche il novarese Davide Crippa, ex sottosegretario al Mise nel Conte I e rimasto fuori dal nuovo esecutivo. Se il responsabile della Farnesina suda sette camicie a tenere a bada le correnti grilline, le altre leadership del M5S sono quantomeno sfocate. Un esempio su tutti è quello del presidente della Camera.
Roberto Fico ha vissuto con grande sofferenza l'alleanza con la Lega di Matteo Salvini e ha lavorato per mesi a un cambio di partnership e, quindi, oggi dovrebbe essere uno dei vincitori vista l'alleanza con i Dem. Al contrario, la batosta elettorale in Umbria e i sondaggi sempre più preoccupanti, figli proprio dell'alleanza di chi fino all'altroieri veniva definito 'il partito di Bibbiano', hanno indebolito enormemente le posizioni del numero uno di Montecitorio e anche di chi ha un ottimo rapporto politico con Nicola Zingaretti come Roberta Lombardi, consigliera regionale nel Lazio guidato dal segretario del Pd.
I più riottosi contro Di Maio - e non solo sull'ex Ilva - sono i delusi e coloro che sono rimasti fuori dal governo giallo-rosso. Oltre alla Lezzi e a Crippa, ci sono anche Giulia Grillo e Danilo Toninelli, che non ha nemmeno avuto la 'ricompensa' con la nomina a capogruppo a Palazzo Madama. Nel magma liquido dei pentastellati ci sono anche i cosiddetti ex padani, ovvero chi rimpiange per un motivo o per l'altro l'esecutivo con il Carroccio. Tra loro, oltre a Gianluigi Paragone, anche Emilio Carelli.
Ad agitare soprattutto Palazzo Chigi, poi, ci sono i continui scouting della Lega al Senato. Con la promessa di rielezione in caso di crisi e di ritorno alle urne, il tam tam del potere romano dà 8-10 senatori grillini in uscita verso il partito di Salvini. Rumor che, se confermati, segnerebbero di fatto la fine dell'esecutivo anche senza attendere lo spoglio delle schede in Emilia Romagna. A tutto ciò si aggiunge la debolezza del M5S prodotta dal disimpegno di Beppe Grillo e di Davide Casaleggio, una sorta di 'partito liquido' che non avendo ideologie si è spaccato in numerose correnti.
Non solo, la debolezza del Pd, principale alleato di governo che ha perso tutte le ultime Regionali e ha subito una scissione, certo non aiuta. Tanto che in molti dentro e fuori i 5 Stelle ragionano su come aver messo insieme due debolezze non abbia creato una ricchezza ma una grande povertà politica (ed elettorale). C'è poi il ruolo del presidente del Consiglio, considerato come il rappresentante dell'establishment sempre con un filo diretto con Bruxelles (come dimostra l'ultimo viaggio in Italia di Angela Merkel) insieme al ministro dell'Economia Roberto Gualtieri.
Conte vuole il ripristino dello scudo per l'ex Ilva, prima di tutto per togliere l'alibi ad ArcelorMittal ma anche perché considera sbagliato cambiare le carte in tavola continuamente; però sa perfettamente che il M5S è lacerato ed esasperato dai pasdaran locali e dai conflitti interni. Ora si sta cercando la mediazione dello scudo a tempo, ma il timore è che dietro la rivolta della Lezzi ci sia l'intenzione dell'ex ministro per il Sud di candidarsi alle prossime elezioni regionali in Puglia cavalcando proprio la difesa dell'ambiente e della salute contro l'inquinamento dell'ex Ilva. Un'ipotesi che circola seriamente all'interno del M5S e che, se si concretizzasse, segnerebbe la sconfitta certa di Michele Emiliano.
Sullo sfondo resta anche l'idea di un partito personale di Conte, che potrebbe anche consentire a molti deputati e senatori pentastellati di ricandidarsi senza finire sotto la mannaia del doppio mandato, ma al momento l'impressione è quella che si cerchi di salvare il salvabile tra ex Ilva e Legge di Bilancio (con l'incubo del voto del 26 gennaio) e quindi ogni ipotesi sul futuro viene quantomeno rimandata. Come la voce di un gruppo di parlamentari fedelissimi di Casaleggio pronti a creare una sorta di componente di neo-resposanbili con un'operazione simile a quella di Italia Viva.
Ipotesi, retroscena, opzioni che prendono quota la mattina e perdono credito nel pomeriggio. Infine c'è anche il punto interrogativo su come arrivare alle elezioni regionali in Emilia Romagna. Non tanto e non solo se allearsi con il Pd e con Stefano Bonaccini, il punto è se essere della partita o chiamarsi fuori e non presentare proprio la lista. Voci incontrollate ipotizzano numeri drammatici per i 5 Stelle nell'ormai ex Regione rossa: 7 o addirittura 5%. Forse meglio optare per la desistenza.
Il problema di fondo del M5S resta il fatto che nel 2018 ha vinto le Politiche con la promessa di rompere gli schemi salvo poi trovarsi al governo con chi ha combattuto per anni con toni durissimi. Per non parlare del posizionamento in Europa: da Nigel Farage e l'Italexit al sì a Ursula von der Leyen; dal dialogo con i gilet gialli ai sorrisi con Macron. Una giravolta che, insieme ai flop elettorali e nei sondaggi, sta colpendo e dividendo il M5S.
L'unica soluzione potrebbe essere quella di diventare l'ala sinistra del Pd, già coperto a destra dalla nuova formazione dei renziani, ma sostituirsi a LeU significherebbe snaturare il senso stesso del Movimento. E ancora stamattina Di Maio, rispondendo all'appello all'unità contro le destre lanciato da Zingaretti, ha risposto che non siamo più negli Anni '70 e che destra e sinistra sono concetti superati. Un refrain suggestivo che, probabilmente, ormai non tira più. Anzi, sicuramente.