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Politica
Voto subito? Il “No” più debole. Renzi pronto a “sfiduciare” Gentiloni

Di Massimo Falcioni

Ariecco la politica che s’avvita sul nuovo tormentone: votare subito o no? Votare entro giugno o ad ottobre? O, parafrasando Andreotti, “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” e tentare di arrivare al 2018? Ma è tutta fuffa. Nel classico stile della politica italiana, tutti giocano a rimpiattino con un unico obiettivo: quello del voto! Le eccezioni ci sono ma sono mosche bianche e comunque non contano. Chi è davvero che dice forte e chiaro “No” alle elezioni anticipate? Forse la minoranza Pd? Non scherziamo. L’arrembante D’Alema non vede l’ora di dare lo strappo e mettersi sulla bilancia delle urne con una inedita formazione e, con toni più sfumati, anche il sornione Bersani è in scia. Idem sull’altro fronte, in Forza Italia, dove il redivivo Berlusconi fa il pesce in barile, puntando a sfruttare la situazione in un non impossibile futuro “governissimo” abbracciato a Renzi.

La storia dice che chi fa saltare il banco provocando il voto anticipato paga pegno perdendo poi consensi elettorali nella logica del “chi rompe paga”e i cocci sono suoi. Quindi nessuno, anche per non subire gli strali di Mattarella, osa lanciare i tre squilli di tromba ma tutti già scaldano i motori preparandosi alla grande battaglia del voto prima possibile. Il più risoluto è proprio Renzi, deciso per il voto in primavera con una blindatura delle liste (addirittura un listone multicolore?) per far fuori i suoi avversari interni al Pd, con l’illusione di superare quell’abnorme premio di maggioranza del 40% che mette mezzo Parlamento nelle mani di chi prende i voti di 4 italiani su 10. Proprio Renzi in cerca di rivincite dopo la batosta sul referendum del 4 dicembre, dopo l’arroganza con cui pose per tre volte il voto di fiducia sull’Italicum (fu così solo con la Legge Acerbo del fascismo e la Legge Truffa!), dopo aver esaltato improvvidamente quella “sua” legge tuonando nel marzo 2015: “Se ci rivediamo tra cinque anni vedrete che questa legge elettorale sarà copiata da mezza Europa”. Ora, se Renzi pigia sull’acceleratore, il Pd farebbe cadere il terzo governo guidato da un suo esponente, battendo persino la Dc della Prima repubblica. E il premier Gentiloni? Con la legge elettorale uscita dalla Consulta questo governo messo lì dal segretario Pd potrebbe aver esaurito il proprio compito, uscendo di scena in modo soft. In caso contrario Renzi ha i numeri (cinque suoi ministri, oltre l’appoggio completo in Direzione Pd) per imporre a Gentiloni il forfait e mandare tutto a carte quarantotto.Qui siamo.

I partiti puntavano sulla Consulta per farsi tirar fuori le castagne dal fuoco ma con la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum la politica non esce dal pantano rischiando di logorare ancor di più le Istituzioni e il rapporto con i cittadini ai quali non interessa il balletto su quando aprire le urne ma capire se questo Parlamento e questo governo sono ancora in grado di fare alcune riforme necessarie oggi all’Italia. Se, come è evidente, i partiti sono interessati solo ad accordi di spartizione del potere e in questa legislatura in fatto di riforme non c’è più nulla da “spremere” e i parlamentari difendono solo il proprio scranno e il proprio vitalizio pensionistico la via maestra è una sola: quella del voto prima possibile. Mattarella non vuole andare al voto anticipato ma non può sfuggire alla realtà dei fatti: chiede alle forze politiche una rapida intesa per armonizzare le leggi elettorali di Camera e Senato correggendole in senso maggioritario con l’obiettivo di incentivare la governabilità. Al di là del raggiungimento o meno di tale obiettivo, si vedrà poi quanti margini ci saranno per continuare la legislatura. Il non improbabile impasse porterebbe allo scioglimento delle Camere sfociando nelle urne entro giugno. Tutto il resto sarebbe perdita di tempo, peggio: il modo per incancrenire la situazione e stendere un tappeto di velluto all’avanzata dei populismi di ogni colore regalando consensi al M5S, alla Lega e a chi gioca sul tanto peggio tanto meglio. Un dato è certo: senza la fiducia degli italiani il Paese non esce dal guado e non riparte. L’unica strada è quella di ridare fiducia agli italiani, in questo caso agli italiani che nell’urna diventano cittadini politicamente “maggiorenni”, elettori e protagonisti del proprio destino e di quello del proprio Paese. Come si dice, chi ha più tela tesse. Chi ha più voti comanda. La democrazia rischia non con il ricorso al voto libero ma con il “tran tran” di questi anni, spesso torbido quando non apertamente fraudolento al limite dell’eversione, perché l’Italia resta su un piano inclinato e la pazienza della gente è oltre il limite e il fossato fra potere e popolo è sempre più profondo. La stabilità politica non è un totem: è un valore se promuove un avanzamento generale del Paese, se è in sintonia con il Paese reale.

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