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Porto di Talamone, ricorso al Tar contro il Comune di Orbetello

Porto di Talamone

Porto di Talamone, ricorso al Tar contro il Comune di Orbetello

È finita a carte bollate e non poteva esserci esito diverso, a Talamone, gioiello del Parco della Maremma, per la discussa trasformazione dell’attuale approdo in porto Turistico. Quel progetto voluto dal Comune di Orbetello, che ad agosto ha di fatto messo in corsia preferenziale una srl costituita ad hoc per l’iniziativa, è stato (finalmente) preso di mira dal Consorzio il Molo di Talamone. L’organismo - che rappresenta l’80% degli attuali titolari delle concessioni per il porticciolo maremmano, clamorosamente esclusi dal procedimento dell’amministrazione orbetellana – ieri mattina ha deliberato un doppio ricorso dal Tar della Toscana: uno contro la delibera e il bando; l’altro contro la secretazione della documentazione relativa al progetto della Società Porto Turistico di Talamone. Se ne occuperà l’avvocato Pierluigi Chech, esperto di questioni amministrative e ben radicato nella provincia di Grosseto, con Affaritaliani che continuerà a seguire passo-passo il caso (qui l’ultima puntata della nostra inchiesta).

Un ruolo determinante, in questa complessa partita, lo ha giocato il Comitato Salviamo Talamone che, a partire dal blitz di Ferragosto confezionato dalla giunta guidata dal sindaco Andrea Casamenti, ha rappresentato costantemente le istanze della comunità locale, dando una spinta decisiva al Consorzio che, in una prima fase, era apparso meno incisivo. Ieri mattina, però, alla riunione che ha sbloccato la guerra legale, i soci del Molo erano tutti presenti, coesi nel condividere il percorso suggerito e perfettamente illustrato da Chech.  Il presidente del Molo, l’ammiraglio Sergio Biraghi (83 anni), ha preso atto della ferma volontà dei consorziati e ha ratificato il mandato assembleare all’avvocato di Grosseto. Il Comitato, soddisfatto per la mossa, ha parlato di «un atto concreto, rilevante sia sul piano giuridico sia sul versante politico». Le piccole imprese operanti sul porticciolo e i rappresentanti delle associazioni sportive dilettantistiche che utilizzano i pontili sono in prima linea e compatte contro la manovra di Orbetello: è chiaro ormai a tutti che dietro il bando per il nuovo porto si nasconde il tentativo maldestro di un assalto speculativo sulle 18 licenze che scadono a dicembre e che il Comune, dal 1 gennaio prossimo, potrebbe assegnare in blocco alla srl del progetto, presieduta da Ferdinando Berni. Non a caso, obiettivo del ricorso è «fermare l’iter del procedimento dell’amministrazione comunale» si legge nella prima nota ufficiale del Consorzio.

L’operazione di Orbetello - presto valutata a fondo dai giudici amministrativi - in buona sostanza, correrebbe il rischio di andare nella direzione opposta rispetto ai principi che ispirano la direttiva europea Bolkestein: invece di allargare la platea degli operatori o, comunque, di creare le condizioni per una maggiore concorrenza - ciò con consequenziali miglioramenti per il mercato e, quindi, per gli utenti finali - si darebbe il via a un irragionevole monopolio di fatto. 

Quello delle concessioni, in effetti, è un nodo cruciale in questa vicenda. In una riunione negli uffici del municipio, lo scorso 20 settembre, l’assessore Luca Teglia ha promesso la proroga fino al 30 settembre 2027, in linea col decreto “balneari” approvato dal governo. Tuttavia, sono passati 10 giorni, ma di atti scritti che confermino le promesse non c’è traccia e l’amministrazione continua a tacere, dando, così, sempre più corpo ai sospetti circa le vere motivazioni che si celano dietro l’intenzione di trasformare la darsena maremmana. Proprio Teglia, ieri, ha perso una grande occasione per rasserenare gli animi: pochi minuti prima dell’inizio dell’assemblea del Consorzio il Molo, l’assessore è stato avvistato a fare colazione in un bar di Talamone. Era a poche decine di metri da chi gli stava per sferrare contro l’attacco legale. Qualcuno ha ipotizzato – forse sperato – che l’esponente della giunta orbetellana fosse lì per un gesto distensivo, per chiarire e (magari) per mettere parola fine alla querelle. Ma così non è stato ed è dunque partita la battaglia al Tar. L’ennesima storia pasticciata che si concluderà «In nome del popolo italiano».



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