Il Sociale

Riforma del lavoro, per il terzo settore emendamenti a rischio stallo

Un grande cantiere. A distanza di un anno e mezzo dal via, continua ad essere questo la legge delega di riforma del terzo settore, che si appresta (appena sarà passato il ciclone della riforma costituzionale, che ha la precedenza) ad essere discussa e votata in Commissione Affari Costituzionali a Palazzo Madama. Dove sono arrivati centinaia di emendamenti, fra cui quelli del relatore, il senatore Pd Stefano Lepri, che fanno discutere perché incidono sensibilmente sul testo approvato dalla Camera dei Deputati. Allora, era l’aprile scorso, la convinzione diffusa – soprattutto nella maggioranza – era quello che il testo avrebbe avuto un passaggio abbastanza rapido e sostanzialmente indolore al Senato, in modo da giungere il prima possibile all’approvazione definitiva e dare così modo al governo di approvare i decreti delegati sui quali, per sua stessa ammissione e rassicurazione, il sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali, Luigi Bobba, lavora già da tempo.

Forse i conti era stati fatti senza l’oste, o forse si era sottovalutata la portata delle varie questioni e le diversità di impostazione, anche culturale, che caratterizzano il mondo del terzo settore: fatto sta che la paura ora, tutta interna alla maggioranza e in particolare al Partito Democratico, è che l’eventuale approvazione di incisive modifiche al Senato comporti di fatto uno stallo su un testo che, tornando alla Camera, troverebbe la contrarietà di quanti – di quello stesso partito - lo hanno condiviso e votato in prima lettura. Il rischio di finire su un binario morto, e addirittura solo a causa di divergenze di opinione all’interno del Partito Democratico, vista la situazione non è poi un’ipotesi così lontana dalla realtà. Ovviamente, il siffatto fallimento di un progetto di riforma così ambizioso sarebbe davvero impossibile da spiegare ad un “terzo settore che in realtà è il primo” (Renzi dixit), ed è per questo che, ragionevolmente e verosimilmente, non finirà in quel modo. Serve però un confronto schietto su tutti i nodi venuti al pettine, perché quella riforma deve essere fatta, e con i voti del Pd. Che, per inciso, viste le fibrillazioni interne sulle altre riforme (ad iniziare da quella del Senato) ha tutto l’interesse a non aprire un nuovo fronte interno, spaccandosi perfino su una riforma che finora – almeno secondo il verbo renziano - è andata avanti all’insegna della “condivisione” e dell’accordo più ampio possibile (su questo ultimo punto, va da sé, le opposizioni – ad iniziare da M5s e Sel - raccontano tutt’altra storia).

Ad ogni buon conto, la prima puntata di questo schietto confronto interno al Pd è andata in onda stamane, quando “nell’ intento di favorire una rapida approvazione della legge di riforma del terzo settore” (le parole sono testuali), i deputati Pd della Commissione Affari sociali della Camera dei deputati (cioè coloro che di fatto hanno guidato e orientato fin dal principio la discussione sul ddl delega) hanno incontrato proprio Stefano Lepri, relatore Pd della legge a Palazzo Madama. Un incontro di scambio e confronto, nel quale sono state messe sul tavolo tutte le divergenze, ormai innegabili. In una nota, è la stessa capogruppo Pd in Commissione Affari sociali di Montecitorio, Donata Lenzi (cioè colei che ha svolto il ruolo di relatrice di maggioranza del testo approvato cinque mesi fa) a descrivere la situazione: “Visti gli emendamenti presentati al Senato, a fronte di una condivisione delle proposte di modifica in tema di servizio civile, sono emerse tuttavia – scrive - anche profonde differenze su tre punti”. Rispetto agli emendamenti, Lenzi spiega: “Non si condivide la visione che emerge, tutta concentrata sull’ utilità sociale, che rischia di ridurre il terzo settore ai soli enti che producono beni o che svolgono servizi sostitutivi di servizi pubblici.

Si escludono così tutte le realtà di associazioni che costruiscono relazioni, aiutano ad uscire dalla solitudine, si occupano di diritti civili, per fare degli esempi, dai gruppi di auto aiuto agli scout. Temiamo – continua poi anche a nome degli altri componenti del gruppo - che le modifiche proposte alla normativa dei centri servizi del volontariato danneggi le piccole associazioni di volontariato che saranno sacrificate alla competizione tra grandi gruppi sottoponendole ancora di più, peraltro, al controllo delle fondazioni bancarie. Ci piacerebbe vedere implementata la collaborazione sul territorio piuttosto che la competizione tra enti”. “ Perplessità inoltre – conclude Lenzi - vengono dalla proposta di smontare le attuali norme fiscali per avviarsi ad una soluzione di cui non si conosce l’ impatto sul settore né il costo complessivo”. Fin qui, ciò che divide. Il confronto è avviato, i risultati si vedranno quando l’iter parlamentare a Palazzo Madama entrerà nel vivo. Non prima di un paio di settimane (da redattoresociale.it)