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Diego Armando Maradona: l’importanza di saper cadere
Il 25 novembre 2020 è scomparso Diego: il migliore di tutti i tempi. Calciatore, ribelle, rivoluzionario ma soprattutto uomo, fragile in un mondo di cristallo
Diego: angeli e demoni a due giorni dalla scomparsa
In un bellissimo libro di Joël Dicker “La verità sul caso Harry Quebert” Marcus Goldman, giovane scrittore in preda ad un blocco creativo, chiede al suo mentore e professore universitario, Harry Quebert, scrittore ormai in declino, accusato di omicidio, quale delle sue lezioni salverebbe se ne dovesse scegliere solamente una. Harry gli rigira la domanda, come se la risposta fosse naturale, ovvia.
“Io salverei l’importanza di saper cadere”
“Mi trovi pienamente d’accordo, la vita è una lunga caduta Marcus. La cosa più importante è saper cadere”
“Diego. Diego. Diego. Dieguito.” urlava Doña Tota quando non ritrovava il quinto dei suoi otto figli. E sicuramente quell’urlo, per chi è passato di lì, sarà rimbombato più volte, dai quartieri Spagnoli a Fuorigrotta dov’era il suo tempio, che presto porterà il suo nome. Perché se giri nelle parti più iconiche di Napoli sentirai sicuramente qualcuno chiamarsi Ciro, da Ciro d’ Alessandria, il protettore dei malati, incontrerai qualcuno che si chiama Gennaro, perché “anche quest’anno San Gennaro ha fatto o’miracolo”, ma, come disse Luciano De Crescenzo: “San Genna', non ti crucciare, tu lo sai ti voglio bene. Ma na fint' 'e Maradona squaglia 'o sangue rint'e vene!”, non sarà stato difficile imbattersi in ragazzi, già adulti ormai, che portavano il nome di Diego. Soprattutto i nati dopo quel famoso 10 Maggio 1987: O’scudetto. Lo scudetto di Diego Armando Maradona che non ha mai voluto solo per sé, perché quello era il premio della rivalsa di un popolo intero e, ancor più, di un’idea. La parabola di Davide che vince Golia.
Come si fa a credere che Diego Armando Maradona sia scomparso. “Scomparso” perché la parola scomparire non si riconduce ad una fine, ma rimanda alla speranza. Quella che El pibe ha seminato nei dimenticati, negli oppressi palleggiando con un pallone, dal fango di Villa Fiorito fino al tetto del mondo con la sua amata Albiceleste, la Selección.
Sta lì Maradona, dove nessuno è riuscito ad arrivare, perché solo Maradona poteva oltrepassare Maradona.
Come ogni artista, quello che riusciva a fare con il suo mezzo di comunicazione, la pelota, era totalmente irrazionale, una bugia. Per noi più giovani si traduce in un iconico video, dove Diego palleggia sotto le note di “Live is life” degli Opus, prima della semifinale di ritorno della Coppa Uefa, a Monaco. Perché è difficile nella sua eterna semplicità spiegare cosa riusciva a fare con il pallone, ma è la naturalezza del movimento, l’insostenibile leggerezza del tocco che impressiona ma allo stesso tempo è così riconducibile a lui, che quasi ci si dimentica dell’impossibilità. È Diego, può.
Michel Platini, suo rivale in quegli anni, e non un giocatore qualunque, disse una frase che forse spiega bene la naturalezza del genio: “Diego era capace di cose che nessuno avrebbe potuto eguagliare. Le cose che io potrei fare con un pallone, lui potrebbe farle con un'arancia.”
Poi, quando si arriva in alto, molto in alto, ecco che per forza deve cominciare la discesa.
Siamo al giorno secondo Dopo Diego ed è difficile non essere retorici quando si parla di una qualsiasi unità di misura che misura un qualsiasi eccesso. Mentre una parte del mondo piange il talento, l’altra condanna lo sbaglio, mentre una fetta s’illumina di magia, l’altra si spegne nella stregoneria.
È questo che forse avvicina l’opinione generale ad amare le persone come lui, la loro caduta.
Perché in quanto fragili godiamo delle fragilità altrui, come se trovassimo rifugio sicuro nei nostri sbagli. Maradona non è stato certo un santo, così come non è certo stato un demonio. Maradona si muoveva in quel limbo, in quella condizione purgatoria che non fa in tempo ad osannarti che già ha pronta la tua condanna. Ed è lì che Diego ha distrutto Diego, in quel girone dantesco, mentre cadeva e ricadeva nei suoi vizi. Ed è lì che Diego è diventato Maradona, ricordandosi sempre della catapecchia di Villa Fiorito dove per la prima volta si era innamorato di un pallone.
“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli”
Questo è stato Diego: un uomo fragile in un mondo di cristallo, sempre dalla parte dei più deboli.
È caduto Diego, facendo appena in tempo a ricongiungere una famiglia che lui stesso aveva disperso.
È questa la lezione più grande che ci potesse dare: cadere. Insegnarci che non può esistere il genio senza l’uomo né l’uomo senza il genio. Ricordarci da dove veniamo e non dimenticarci mai di essere imperfetti, perché come diceva Joël Dicker, “la vita è una lunga caduta Marcus. La cosa più importante è saper cadere”.
La vita sportiva, politica e artistica di Diego è riassunta in 3 minuti. Tre piccolissimi minuti del 22 Giugno dell’86. Stadio Azteca di Città del Messico. Argentina - Inghilterra, si gli inglesi de "Las Malvinas". La follia della “Mano de Dios” e gli undici rintocchi del “gol del secolo”. Due magie contro l’oppressione.
In sottofondo, l’urlo di Victor Hugo Morales, che oggi è l’urlo di tutti quelli che si sentono un po’ più vuoti:
“Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas”