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Fausto Coppi, intervista al figlio Faustino: "Papà ucciso dalla negligenza"

di Mirko Crocoli

La toccante intervista ad Angelo "Faustino" Coppi, figlio del campione di ciclismo, 5 volte medaglia d'oro al giro d'Italia, Fausto

Togliendo suo padre dalla lista, se dovesse fare uno o più nomi quale atleta le è rimasto più impresso nella storia di questa disciplina?

Diciamo che quando ero piccolo mi aveva colpito Jacques Anquetil. Egli aveva corso con mio papà e c’era un rapporto di stima reciproca. Altrimenti nei tempi più attuali direi Marco Pantani. Mi ero affezionato a lui. Al di là della parte tecnica, che a me piaceva molto, l’ho apprezzato anche e soprattutto come uomo. Generoso, buono, aveva un animo splendido. E poi ho seguito gli altri dualismi storici dopo quello tra mio papà e Bartali; da “Moser & Saronni” a “Gimondi & Motta”. Motta poi ho avuto modo di conoscerlo bene perché abbiamo fatto il giro insieme con la Mediolanum. Ci siamo conosciuti un po’ tutti, più o meno.

Prima mi parlava di Pantani. Che ricordi ha di quel drammatico 14 febbraio 2004?

Triste. Mi è dispiaciuto tantissimo quando ho appreso la notizia. Una brava persona, dovevamo andare a caccia insieme ma la malasorte ce lo ha impedito. Era una promessa, non abbiamo fatto in tempo. Per Pantani Madonna di Campiglio fu veramente devastante. Non sono un magistrato né tantomeno colui che può sapere la verità dei fatti, ma secondo me non gli anno perdonato il trionfo delle ultime tappe, di non aver lasciato spazio agli altri. Marco era malvisto, per le tante vittorie. Da quel momento in poi moralmente si è lasciato abbattere. Diciamo un uomo scomodo, mettiamola così. Uno sportivo che la storia non dovrebbe mai dimenticare.  

Ultimo pensiero che le viene in mente di papà Fausto e mamma Giulia?

L’atteggiamento verso di lei, i modi, la gentilezza, il rispetto. Chiedeva sempre per piacere. Quando lei arrivava a cena mio padre si alzava e avvicinava la sedia per farla sedere. Era un uomo d’altri tempi, oggi si direbbe “gentleman”. Ma questo lo ammettono tutte le persone che lo hanno conosciuto a fondo. Oltre alle indubbie qualità sportive aveva un garbo esemplare. Mia mamma diceva spesso: “era davvero un signore, di quelli di una volta, difficile rinascano”. Su mia madre, beh, ha sofferto, è stata in carcere ad Alessandria per abbandono del tetto coniugale e poi il domicilio coatto ad Ancona, da una sua zia. Tutti i giorni doveva firmare come una delinquente ed era in stato interessante di me. Umanamente se non fosse stata forte non ce l’avrebbe fatta. La sua determinazione e il suo coraggio l’hanno salvata. Donna straordinaria a cui devo ogni giorno della mia vita.

 

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