Sport
"La sclerosi multipla, una compagna con cui correre e da cui non scappare"
La storia della bresciana "Merilù Run", avvocato che da 17 anni convive con la SM e che ha scelto di esorcizzare la malattia correndo
Come si è sentita quando le hanno confermato la diagnosi? Cos’ha provato?
L’ho vissuta malissimo, non riuscivo ad accettarla. Mi sono sentita in un limbo, ne avevo sentito parlare ma era una malattia che non conoscevo. Ricordo di aver fatto al neurologo tre domande. Se sarei finita sulla sedia a rotelle. Se avrei potuto continuare ad andare allo stadio a tifare il mio Milan. Se sarei riuscita a camminare sui miei tacchi.
E lo specialista che cosa le ha risposto?
Non mi ha dato risposte certe, vista la natura neurodegenerativa della patologia. Non era da escludere la possibilità della carrozzina. Ma al contempo gli stiletti non erano banditi, né lo era la partecipazione, come pubblico, a manifestazioni sportive. Però mi aveva detto di non fare ginnastica perché poteva creare nuove infiammazioni e lesioni. Fortunatamente le raccomandazioni, dal 2006 ad oggi, sono cambiate perché la scienza ha fatto passi da gigante. Finalmente ora l’attività fisica è consigliata. Non necessariamente la corsa come faccio io: pilates, yoga, nuoto, camminate. Il movimento, infatti, può contribuire a migliorare la spasticità.
È sempre stata una sportiva?
No, non sono sempre stata così attiva, anzi! Ho giocato a calcio fino ai 16 anni e poi ho abbandonato gli sport. Con la Sm ho preso la palla al balzo: giustificavo così pigrizia e apatia. I primi otto anni sono stati di buio totale, depressione e attacchi di panico. Pensavo di non avere più niente da raccontare e di diventare un peso per tutti. Non riuscivo ad accettare la patologia, e così neanche i miei genitore e amici. Non facevo bene a nessuno, soprattutto a me stessa. Senza contare che 17 anni fa non erano molte le persone che parlavano della propria patologia: non c’era reta ed era difficile confrontarsi e confortarsi con le esperienze altrui. Mi sono sentita sola.