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Milan, Maldini e l'ex Reina raccontano il coronavirus: "Un nemico sconosciuto"
Milan, Maldini e l'ex Reina raccontano il Covid-19: "Conosco il mio corpo, sentivo un nemico sconosciuto ma ora sto bene", "Come se un camion finisse addosso"
Paolo Maldini e Pepe Reina. Una colonna storica del passato e del presente rossonero e un portiere che da poco ha lasciato Milano per giocare in Inghilterra con l'Aston Villa. Entrambi colpiti dallo stesso male chiamato Covid-19. "Sto abbastanza bene, il peggio è passato - ha raccontato il direttore tecnico rossonero in un'intervista al Corriere della Sera -. Ho ancora un po’ di tosse secca, ho perso gusto e olfatto. Sapevo di averlo perché sentivo che non era come le altre volte, e poi avevo fatto il vaccino per l’influenza. I dolori sono particolarmente forti, e poi senti come una stretta al petto. Non so da chi l’ho preso. Mia moglie ha avuto un’influenza molto lunga e strana, è stata a letto tre settimane. Prima ancora, verso metà febbraio, il nostro primogenito, Christian, che ha 23 anni e vive con noi, ha avuto una brutta influenza, in famiglia forse è quello che è stato peggio di tutti. Mia moglie e Christian hanno fatto il tampone e sono negativi, ma siamo convinti che pure loro abbiano preso il virus e ne siano già usciti. L’altro figlio Daniel, 18 anni, è positivo. Anche lui vive con noi, ha dolori e febbre. Ma mi pare che in famiglia sia quello che l’abbia presa in forma più leggera”. “Io ho avvertito i primi sintomi giovedì 5 marzo. Dolori alle articolazioni e ai muscoli, febbre mai più di 38 e mezzo. Il giorno dopo sarei dovuto andare a Milanello e invece sono rimasto a casa, ho saltato anche Milan-Genoa. Non vedevo i calciatori da 14 giorni, nessuno di loro è positivo". Sul tampone: "All’inizio non è stato possibile farlo perché i miei sintomi per quanto forti potevano essere quelli di una normale influenza. Poi ho scoperto che un amico, che avevo incontrato il 23 febbraio, era positivo come un’altra persona che lavora con me. Alla fine sono venuti i medici della Asl con guanti e mascherine, era martedì scorso e dopo due giorni è arrivato il verdetto: positivo". Un amico di Maldini "ha avuto problemi respiratori: è ricoverato all’ospedale di Legnano, non dorme e ha gli incubi - prosegue il direttore tecnico rossonero -. A me è andata meglio, comunque sono qui confinato da 18 giorni con la mia famiglia. Un po’ di preoccupazione mi è venuta, ma psicologicamente mi ha aiutato l’idea che papà e mamma non ci fossero più perché altrimenti sarei stato in ansia per loro”. “Il calcio doveva fermarsi prima - conclude Maldini -, è stata una follia giocare a porte aperte Liverpool-Atletico Madrid. Un finale di campionato ci deve essere e ci sarà, ma quando non possiamo dirlo ora. Non dobbiamo avere fretta, non ci si rimette in due giorni da questo virus. Tutti i calciatori devono avere il tempo di riprendersi e allenarsi, prima di tornare a giocare saranno necessarie almeno due settimane di preparazione”, ha concluso l’ex capitano rossonero.
Pepe Reina: "Come se mi fosse passato addosso un camion"
"La scorsa settimana ho avuto tutti i sintomi del Coronavirus, sono stati giorni difficili in cui ho preso ogni tipo di precauzione per non contagiare chi vive con me. Qui non si fanno i test e questo non puo' che essere un problema, ma adesso sto bene. È dura, è come se mi fosse passato addosso un camion". Ha invece raccontato Pepe Reina a Cadena Cope, celebre emittente radiofonica spagnola, in un'intervista rilasciata nelle scorse ore. L'ex portiere di Napoli e Milan, attualmente in prestito all'Aston Villa in Inghilterra, ha anche spiegato come sta vivendo l'emergenza pandemia dal Regno Unito: "Seguo tutto quello che succede sia in Spagna che in Italia, sono momenti difficili e siamo tutti preoccupati. Quello che mi tocca di più è vedere persone che se ne vanno senza neanche la possibilità di essere salutate per l'ultima volta dalla propria famiglia. Dobbiamo rispettare tutte le norme di sicurezza che ci sono state date, solo così riusciremo ad uscirne. Il calcio in questo momento è secondario, non mi importa sapere quando si tornerà in campo, quel che conta è la salute, capisco che ci siano grandi interessi economici in gioco, ma è uguale in tutti i settori. Non ha senso giocare senza pubblico, ma in ogni caso è essenziale che si torni a giocare quando ci saranno tutte le garanzie per farlo in sicurezza. Noi calciatori siamo dei privilegiati - conclude - per me è facile restare in isolamento, le persone che hanno veramente i 'cojones' sono quelli che vivono in un appartamento di 70 metri quadri con tre bambini, loro sono degli eroi".