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Un pianeta meno "pacifico". Il mix letale di guerre e mancanza di cibo

Cresce il numero dei conflitti, aumenta il numero dei morti. In un decennio si è passati da una media annua di 21 mila vittime a 38 mila. Nel 2011 erano in corso 388 conflitti, nel 2014 si è saliti a 424.

"Dopo anni di segno positivo, gli indicatori che misurano il grado di 'pacificità' del pianeta iniziano infatti a puntare verso il basso", si legge nel Rapporto "Cibo di guerra" sui conflitti dimenticati, curato da Caritas Italiana con Famiglia Cristiana e Il Regno, presentato oggi a Expo. "L’intensità di buona parte dei conflitti intra-statali combattuti a diverse latitudini del pianeta sta infatti aumentando di livello, con un significativo coinvolgimento della popolazione civile e un crescente ricorso all’impiego di tattiche tipiche dell’azione terroristica". Caritas stima che le vittime di attacchi terroristici jihadisti siano quintuplicate negli ultimi quindici anni, concentrandosi per il 95% per cento in paesi non Ocse (ovvero in via di sviluppo). In particolare in Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan e Nigeria, coinvolgendo sempre di più scuole e università, giovani studenti, civili inermi e innocenti. Cibo di guerra. Copertina Rapporto sui conflitti dimenticati.

Africa e Asia sono i continenti maggiormente instabili a livello globale. "In essi la mancanza di cibo e le guerre si intersecano in un mix letale, con l’inevitabile riflesso migratorio su scala planetaria", denuncia il Rapporto, che si pone due interrogativi di fondo: in che misura la guerra può essere determinata da fattori legati alla produzione, distribuzione e consumo del bene alimentare e che tipo di conseguenze sono prodotte dai conflitti in riferimento alla malnutrizione e alla cattiva distribuzione delle risorse alimentari. Il Rapporto contiene anche due rilevazioni sul campo. La prima riguarda uno studio sulla presenza e le storie di vita delle persone in fuga dalla guerra, accolte nelle chiese locali, grazie anche al circuito delle Caritas. La seconda ha come tema l’uso dei “video di guerra” nei canali tematici di Youtube (da redattoresociale.it)