Gender gap, il settore privato non lascia spazio alla parità di genere

Mentre nel settore pubblico la differenza di stipendio tra un uomo e una donna si attesta intorno al 4,2%, nel settore privato il "gap" aumenta drasticamente

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Parità di genere: la differenza tra uomo e donna nel settore privato è ancora ampia

Il gender gap è nell'occhio di chi guarda, è un’illusione ottica: se Eurostat posiziona l'Italia nella parte virtuosa della classifica, al quarto posto in Europa con un pay gap al 4,2%, è perché ad alzare la media è il settore pubblico, altamente normato. Il differenziale salariale italiano tra maschi e femmine tende infatti ad ampliarsi significativamente considerando il solo settore privato, arrivando al 16,5%.

Nel dettaglio, se il pay gap per le operaie è del 14,7% e del 12,1% per le impiegate, tra quadri e dirigenti scende intorno al 5%. È uno dei dati che emergono dal report "La prima metà del cielo - Donne & leadership: cosa sta cambiando" presentato ieri all'evento "Herconomy - Il nuovo ruolo delle donne nel mondo dell'economia al di là delle narrazioni ideologiche", organizzato dal mensile Economy alla Sala Testori dei Bagni Misteriosi presso il Teatro Franco Parenti a Milano.

Il report, realizzato da Idem Mind The Gap! e Job Pricing per Economy, analizza processi di carriera e retribuzioni del management femminile italiano evidenziando che tra i top earner, ovvero le figure di spicco nelle società quotate, a fronte di una maggior presenza di donne (anche grazie alle quote di genere), viene riscontrato un pay gap ben più elevato di quanto raccontato finora: si arriva al 62,2% tra i ruoli esecutivi e al 35,9% tra i ruoli non esecutivi.

“Annunciare obiettivi di gender equality è già di per sé un'ammissione di colpevolezza, perché significa che donne e uomini, ancora nel 2022, non hanno pari diritti, né pari opportunità. Vale per gli Stati, vale per gli enti pubblici, ma vale soprattutto per le imprese, che da un'organizzazione più inclusiva avrebbero solo da guadagnare”, dice Marina Marinetti, vicedirettrice di Economy.

“Non solo: a confermare che il gender gap è nell'occhio di chi guarda, la ricerca sociodemoscopica realizzata per Herconomy da Makno ha evidenziato come manchi oggettività nella valutazione della parità di genere”, conclude Marinetti.

In particolare, il 35,9% del campione femminile interpellato ritiene che la retribuzione maschile sia più alta di quella femminile, mentre di contro il 72,7% per cento degli uomini ritiene che non vi siano differenze saliari fra i generi.

Di contro, donne e uomini sono presenti nei ruoli dirigenziali in ugual misura per il 37,9% del campione femminile rispetto al 29,1% di quello maschile. Ma sono di più gli uomini (il 60% contro il 48,5%) a ritenere utili le iniziative di sensibilizzazione sulla parità di genere, così come è ancora il 65,5% degli uomini, contro il 44,7% delle donne, a sostenere l'utilità della comunicazione aziendale nel superamento del gender gap.

La parità di genere come fonte di valore per le imprese, in particolare, è stata oggetto del panel "G come governance" moderato da Sara Biglieri, partner dello studio legale internazionale Dentons, con la partecipazione di Elena Mocchio, Responsabile Innovazione e Sviluppo UNI Ente Italiano di Normazione, e Daniela Asaro, Head of Health & Well-Being Certification Strategic Center Rina Services, Annamaria Bottero, Cross Solution Director Microsoft Western Europe di Microsoft Italia, e Ornella Dalmasso, Head of Human Resources di Alpitour.

A 11 anni dall'entrata in vigore della legge Golfo-Mosca, le donne ancora oggi guidano poco più del 2% del valore totale del mercato azionario italiano: le quote rosa rappresentano un'opportunità, ma anche un limite. Ma è solo questione di tempo: dieci anni non bastano per completare il cambio di una generazione di amministratori, è emerso durante il panel, e se la trasformazione in corso è già inarrestabile, bisogna permettere alle nuove generazioni femminili di farsi un curriculum.

La parità, inoltre, è un valore per l'impresa anche letteralmente, grazie alla nuova Certificazione della parità di genere: le aziende certificate godono dell'esonero contributivo fino all’1% del fatturato e nel limite massimo di 50.000 euro annui. E alle aziende in possesso della Certificazione verrà riconosciuto un punteggio premiale nei bandi di gara.

Welfare aziendale, policy di empowerment femminile e strategie di comunicazione sono i tre pilastri intorno a cui deve ruotare il cambio di passo che porterà a colmare un gap che continua, nell'era del politically correct, a nutrirsi dei cosiddetti bias cognitivi. Un tema che, tra il serio e il faceto nel panel "Pregiudizi e vecchi merletti", è stato sviscerato nel corso dell'evento, grazie a testimonianze di figure come la capitana d'azienda Marina Salamon, Luana Porfido (European Head of Corporate Communication and Esg Management di Fujifilm Europe), Francesca Moriani (Ceo di Var Group), Rosalba Benedetto (Direttrice Comunicazione, Marketing e Relazioni Esterne di Banca Ifis), Ilaria Puddu, (imprenditrice food retail  con brand come Pizzium, Marghe, Giolina, Crocca, Gelsomina), Eleonora Lagonigro (Director of Corporate Business Area di Kruk Italia, Cbdo & Member of the Board of Agecredit) e... l'attrice Alessandra Faiella, che ha chiuso l'evento ironizzando sul tema: “Quando Marina Marinetti mi ha invitata a partecipare a questo evento sono stata davvero felice”, ha raccontato, in chiusura dell'evento.

“È una cosa di donne, ci sono ospiti importanti’, mi ha spiegato Marinetti, e mi ha mandato il volantino intitolato ‘La prima metà del cielo’. Ma io leggo: ‘La prima metà del ciclo!’ Beh, ho pensato: cosa c’è di più esclusivamente femminile del ciclo, un privilegio da cui godiamo da sempre?”.

È un messaggio di ottimismo e di incoraggiamento, quello lanciato da Herconomy - che per l'occasione verrà distribuito in edicola con una livrea della testata rivisitata - che rinnoverà da quest’anno l'appuntamento Herconomy ogni ottobre, con una "tappa intermedia itinerante" primaverile.

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