Disturbi alimentari, dal cibo alla depressione: cresce l'allarme tra i giovani
Il 15 marzo ricorre la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla per sensibilizzare sulla relazione tra cibo, dipendenza e ragazzi
Disturbi del comportamento alimentare, l'esperta ad Affari: "Occorre curare la fame d'amore". Intervista
Occorre curare la “fame d’amore, che è alla base di ogni disturbo del comportamento alimentare”. A dirlo è la professoressa Elisa Fazzi, Presidente SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza). Lo ripete a gran voce in occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare, che cade ogni 15 marzo.
Disturbi del comportamento alimentare: che cosa sono
“Quando si parla di disturbi del comportamento alimentare – spiega Elisa Fazzi - si fa riferimento a un disturbo caratterizzato da un rapporto alterato con il cibo che si manifesta attraverso una preoccupazione eccessiva rispetto al peso e alla forma del proprio corpo ma esprime soprattutto una grande sofferenza psichica ed emotiva di cui il soggetto, e anche la famiglia, non si rendono sempre conto focalizzando il problema sul cibo. Sono patologie diffuse soprattutto nell’universo femminile e con un impatto drammatico nella vita di tutti i giorni, di ragazze e ragazzi e delle loro famiglie”.
I DCA affliggono oltre 55 milioni di persone in tutto il mondo, oltre 3 milioni di persone in Italia, pari a circa il 5% della popolazione: l'8-10% delle ragazze e lo 0,5-1% dei ragazzi soffrono di anoressia o bulimia (Dati Osservatorio ABA e ISTAT). Secondo i dati emersi da una ricerca a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, sui Centri in Italia del Servizio Sanitario Nazionale dedicati ai disturbi del comportamento alimentare, su oltre 8000 utenti, il 90% è di genere femminile rispetto al 10% di maschi; il 59% dei casi ha tra i 13 e 25 anni di età, il 6% ha meno di 12 anni. Rispetto alle diagnosi più frequenti, l’anoressia nervosa è rappresentata nel 42,3% dei casi, la bulimia nervosa nel 18,2% e il disturbo di binge eating nel 14,6%.
Disturbi del comportamento alimentare: i pazienti sono sempre più giovani
Riducono l’alimentazione fino a saltare i pasti o al contrario presentano abbuffate compulsive, contano ossessivamente le calorie, si pesano e si specchiano continuamente, eccedono con l’attività fisica, cambiano umore e riducono il contatto con il mondo esterno: sono solo alcuni dei principali campanelli d’allarme che manifestano chi soffre di tali disturbi.
“E’ un mondo complesso – dichiara ancora Elisa Fazzi – e negli anni più recenti abbiamo osservato un progressivo abbassamento dell’età di insorgenza, tanto che non riguarda più soltanto gli adolescenti, ma anche bambine e bambini in età prepuberale, con conseguenze più gravi sul corpo e sulla mente, sullo sviluppo in genere. L’identificazione e l’intervento tempestivo e multidisciplinare sono decisivi per una prognosi migliore”.
Disturbi del comportamento alimentare: quando il cibo non è l’unico aspetto da considerare
"I disturbi legati all’alimentazione, come l’anoressia nervosa, possono essere associati ad altri sintomi come depressione, ansia, bassa autostima e comportamenti autolesionistici - continua ancora Fazzi - Quello del neurosviluppo, che riguarda bambini e ragazzi tra 0 e 18 anni, è un periodo delicato in cui i fenomeni maturativi del sistema nervoso centrale non hanno uguali nelle successive fasi della vita. Ad ogni tappa dello sviluppo, compresa la preadolescenza, possono corrispondere possibili rischi e vulnerabilità. In questo periodo la famiglia e la scuola sono fondamentali nell’individuazione dei primi segnali di rischio come forma di tutela e protezione della salute di bambini e adolescenti”.
Disturbi del comportamento alimentare: la pandemia ha incrementato i casi del 30%
L’incidenza recentemente è aumentata del 30% per effetto della pandemia e il picco è soprattutto tra i giovanissimi, colpiti fino a quattro volte di più rispetto al periodo pre-Covid, a causa dell’isolamento, della permanenza forzata a casa, della chiusura delle scuole e dell’annullamento delle iniziative di coinvolgimento sociale. “Da un lato l’isolamento e la solitudine hanno esacerbato sofferenze pregresse, dall'altro la riduzione dei servizi e l’impossibilità di chiedere aiuto hanno peggiorato la situazione". Ma la dottoressa Fazzi è realista nell'affermare che "si può uscire dalla malattia".