Pmi, senza garanzie prepariamoci a uno tsunami di fallimenti

Il presidente di AideXa ad Affari: “Rivedere il sistema aiutando le microimprese, garantendo credito al circolante e facendo politica industriale”

di Marco Scotti
Roberto Nicastro, presidente di AideXa
Economia

Credito alle pmi, si rischia lo tsunami di fallimenti

Se Il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, scrive che le pmi iniziano a sudare freddo per quanto riguarda il sistema delle garanzie pubbliche, significa che l’allarme c’è, al di là degli annunci di prammatica. Giusto per dare un’idea delle dimensioni del problem: fino al 2019 il meccanismo di co-garanzia valeva circa 1,5 miliardi di euro. E la dinamica era in riduzione. Poi, con la pandemia, lo Stato ha dovuto mettere mano al portafoglio e pompare liquidità. Arrivando a 10 miliardi di euro all’anno di garanzie. 

Una misura necessaria che ha permesso al sistema economico – composto per oltre il 90% da imprese di dimensioni piccole o micro – di reggere nonostante due mesi di totale paralisi e 18 mesi di limitazioni notevoli ed evidenti. Ora però l’emergenza è finita, la situazione è complessa, la crisi economica si affaccia sulla scena internazionale. E bisogna far quadrare i conti. Il temporary framework, cioè quella “finestra” di provvedimenti straordinari è giunta al termine della sua missione. Ribadiamo, compiuta. Ma ora bisogna capire come muoversi.

“La sfida chiave per l’esecutivo appena insediato sarà quello di modellare entità e focus delle garanzie per il credito alle piccole e medie imprese – spiega ad Affaritaliani.it Roberto Nicastro, presidente di AideXa e banchiere di lungo corso -. Da una parte, infatti, vi sono le necessità di equilibrare i conti pubblici come viene chiesto dall’Europa; dall’altro c’è il rischio di una spirale negativa che innesti una stretta creditizia e la necessità di un approccio graduale”. 

Nel biennio passato il sistema delle garanzie ha poggiato su diversi attori. “Il contributo del Mediocredito Centrale e di Sace – aggiunge Nicastro - è stato fondamentale, con oltre 2 milioni di pmi che hanno ottenuto credito con garanzia pubblica; ma ci sono anche operatori fintech che hanno saputo sfruttare le nuove tecnologie per migliorare i processi”. 

Il problema, dunque, è come uscirne. Se si riportano le co-garanzie ai livelli pre-pandemia, intorno a  1,5 miliardi di euro, si rischia uno tsunami di fallimenti nelle aziende, soprattutto quelle di dimensioni più contenute. D’altro canto, se invece si mantengono i livelli attuali, visto lo scarso potere di manovra che ci ha lasciato l’Europa, si rischia di dover sacrificare altro. Ad esempio, gli interventi per mitigare gli effetti del caro energia, già così non del tutto sufficienti, avrebbero avuto una dotazione ancora più limitata. Sarà proprio dalla capacità di trovare il giusto equilibrio, e dallo spazio di manovra che si riuscirà a trovare con Bruxelles, che dipenderà il futuro delle aziende

“Mai come ora, dunque, è fondamentale rivedere il sistema delle co-garanzie – conclude Nicastro - , garantendo stanziamenti al fondo ad un livello intermedio tra il pre-Covid e il 2020-2021. In quest’ottica serve a mio giudizio tenere fermi tre punti: privilegiare  l’attenzione alle microimprese, perché il nostro è il Paese in cui queste sono più importanti per occupazione e pil e perché sono quelle per cui l’assenza di garanzie compromette maggiormente l’accesso al credito; non trascurare i fondi al circolante a breve termine; far sì che questo sia anche uno strumento di politica industriale, a patto di concentrarsi su Mezzogiorno, imprese start-up e più giovani, settori industriali strategici, rinnovato mondo dei Confidi”.
 

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