Davide Scabin firma la nuova proposta del Ristorante Carignano

Davide Scabin, firma la Ral 6001 classic del Ristorante Carignano al GHS-Grand Hotel Sitea con un menu degustazione di 13 portate

Davide Scabin
Food

Ral 6001 classic by Davide Scabin collezione Carignano FW 2022-2023

Si chiama Ral 6001 classic la carta che apre ufficialmente il nuovo corso del Ristorante Carignano al GHS-Grand Hotel Sitea, firmata da Davide Scabin. Chiamato come direttore creativo per tutta l’offerta ristorativa del GHS, Davide Scabin inizia con il Carignano – 1 stella Michelin appena riconfermata – a imprimere un cambio di passo per lo storico brand dell’accoglienza di Torino disegnando un menu degustazione dove il patrimonio del passato si fa fondamento per il futuro.

Ral 6001 classic è un unico percorso da tredici portate che presenta una alternanza di grandi classici e piatti inediti, caratterizzato da un ordine di servizio non convenzionale che segue la logica del “Up & Down”. Niente proposte alla carta (ma è assicurata l’attenzione alle richieste dietetiche) per questa release che si avvale del contributo dei sous chef Francesco Polimeni e Kevin Gardini e del pastry chef Matteo Dinoia.

Per i vini si può decidere se accompagnare la degustazione con il pairing messo a punto dai maître-sommelier Nicola Matinata ed Elisabetta Riccardi, o scegliere una etichetta di quelle presenti in cantina. Davide Scabin: «Sono consapevole che un unico menu sia all’apparenza limitativo, ma stiamo lavorando su una idea di fine dining di più ampio respiro, che non si concentri sullo chef e sul cibo ma sia espressione di un piacere a tutto tondo. Il cibo gioca una parte importante, ma non l’unica: chiedo un atto di fiducia ai nostri ospiti, prendendomi la responsabilità di firmare la regia del gusto di una serata che supera i confini del tavolo.»


 

Dall’American Bar dove all’arrivo si viene invitati per l’aperitivo, fino al dopocena quando il caffè e i due percorsi whisky&savouries e sherry&sweets sono serviti nei salottini, ogni ambiente del GHS concorre a permettere un fluire nel tempo e nello spazio. Federico Buratti: «L’idea di lusso è spesso associata a un concetto di esclusività che per noi è superato. Vogliamo riportare invece il lusso al suo significato originario, quando quel luxus latino indicava una “abbondanza di cose deliziose”: il GHS da anni sta perseguendo quest’ottica, ponendo la massima attenzione sul tempo sociale. Noi associamo il lusso al concetto di comunità, ci piace pensare che i nostri ospiti provino il piacere di vivere valori condivisi, trovandoci in questo perfettamente allineati con l’idea di Davide Scabin che riporta in primo piano il significato conviviale del mangiare insieme.»

Ral 6001 classic - Davide Scabin: Up&Down Io comincio dove gli altri finiscono

Ral 6001 classic è il menu degustazione firmato da Davide Scabin per il Carignano. Tredici portate in cui si alternano grandi classici e piatti inediti, caratterizzato da un ordine di servizio non convenzionale che segue la logica del “Up & Down”. Davide Scabin: « L’Up&Down è una teoria che studio e applico fin dal 2015. Prevede che piatti più strutturati e impegnativi nei loro caratteri organolettici, siano serviti immediatamente per intercettare la naturale predisposizione del nostro organismo (fase UP) ad accoglierli, proseguendo poi con un percorso tutto in discesa (fase DOWN) caratterizzato da pietanze man mano più fresche e con acidità maggiore. Per sintetizzare in due parole: io comincio dove gli altri finiscono.» Ad aprire le danze non deve sorprendere, quindi, che sia uno dei piatti cult del repertorio scabiniano: quella ricca lingua brasata al Barolo che, nel 2007, fu anche oggetto d’un omaggio del collettivo di chef internazionali nel Gelinaz! plays Scabin. Mentre il ⊃&⊂ in chiusura, nella sua pulita finezza contraddistinta dalle note amare del cardo e da quelle dolcissime del king crab, fa da trait d’union con i dolci. Fra questi momenti, una scala precisa di combinazioni scompiglia gli schemi consueti di presentazione dei piatti: i primi non sono tutti concentrati classicamente fra antipasti e portate principali, e la presenza di pesce, carne e vegetali viene alternata a seconda del grado di intensità. Questa è la condizione necessaria perché si verifichi il risultato finale di alzarsi da tavola con un senso di leggerezza: dunque il Colombaccio 3style e il Dinamico di rombo vengono dopo la Lingua brasata e i Bombolotti al sugo di coda, ma precedono il Piemontese a Tokio, dove la coesistenza di plin di cervo in consomme di seppia fa da ponte nel passaggio dalla sequenza di terra a quella di mare, che si apre con il Risotto cetriolo, ostrica e ristretto di Guinness. Anche i tre dessert non fanno eccezione, ma qui l’Up&Down si capovolge partendo dal più leggero, un Aspic di agrumi all’hibiscus, per terminare con una Paris-Brest elegantissima, che diventa Turin-Paris-Brest perché ci si fa la scarpetta nel Punt&Mes. Gli amuse-bouche sono una storia a parte, diventando protagonisti del dopocena in due minimenu distinti : Sherry, sweets, cards and chats per gli amandi del dolce, e Whisky, savouries and billiards per chi preferisce il salato. Il tutto da gustare, in pieno stile vittoriano, godendosi le luci calde e i comodi divani del Grand Hotel Sitea.

Ral 6001 classic by Davide Scabin. Il nome

Lavoro nell’ottica di fornire strumenti, non sovrastrutture Di seguito, la spiegazione da Davide Scabin: «L’acronimo RAL indica un sistema di classificazione europeo dei colori nato nel secolo scorso. In cucina usiamo la mazzetta colori per assicurarci di mantenere lo standard rispetto al risultato visivo che vogliamo ottenere: Ral 6001 è il codice che corrisponde al verde smeraldo, con il quale verifichiamo la salsa di insalate dello Storione W&B. Perché dedicargli il nome del menu? Potrei raccontare tanti motivi per cui sono legato al gusto di quella salsa, o a quel preciso verde, o a cosa leggo in quell’accostamento, ma sarebbe una narrazione. La mia narrazione, che finirebbe per essere vincolante rispetto anche alla percezione del gusto. Mi piace pensare che ci si sieda non con la preoccupazione di capire i piatti, capire lo chef, bensì con la curiosità e la gioia di viverli senza remore. Il gusto deve dare innanzitutto piacere. Se dà anche emozione, il cuoco ha raggiunto il proprio obiettivo. Ma l’emozione è legata all’esperienza personale, della quale il gusto è solo uno degli elementi che contribuiscono ad aprire la strada al ricordo. Un piatto comincia davvero a vivere dal momento che si stacca dal pass della cucina e arriva in sala. Lì non è più “dello chef”, ma di ciascun commensale con il quale si instaura una conversazione personale rispetto a un sistema di segni e codici che sono sempre riconoscibili – anche in quei miei piatti all’apparenza più particolari – perché costituiscono una grammatica fondamentale di dialogo. Gli elementi di rottura non li inserisco sui segni e codici, ma sulle prospettive dalle quali leggerli: per questo la mia ricerca è complessa e da sempre coinvolge tutti i sensi. Ogni piatto diventa una cassetta degli attrezzi dalla quale ciascuno può prendere quello più adatto per completare la propria personale opera. Lavoro nell’ottica di fornire strumenti, non sovrastrutture, e da qui forse ha origine la mia mania di codificare. Questo, in sintesi, è il motivo per cui ho dedicato a un codice il nome del menu.»

Ral 6001 classic di Davide Scabin. Ricordare il futuro

Cyber-eggs, fassona impanata al camino, lingua brasata: piatti rimasti nell’immaginario che raccontano 40 anni di attività di Davide Scabin, segnando passaggi importanti spesso in anticipo sui tempi, ed entrando a pieno titolo nella storia della cucina contemporanea, italiana e mondiale. Queste pietre miliari torneranno man mano nei menu del Carignano, come testimonianza delcontinuo impulso vitale di uno chef da sempre attento a sperimentare il futuro nello spirito del passato, senza mai concedersi a malinconie retrò ma con un ben chiaro senso della tradizione come elemento che attraversa il tempo e intreccia la contemporaneità. Con questo spirito i grandi classici dialogano con gli inediti, a potenziare l’idea di fluidità delcambiamento, insita nel concetto di cucina e nell’atto stesso del mangiare. Una scelta che anche vuole soddisfare sia la curiosità di chi non ha avuto modo di mangiarli in passato, sia le molterichieste di chi vorrebbe gustarli di nuovo.

Davide Scabin: «Non c’è ricetta che, una volta messa a punto, non possa essere tecnicamente riprodotta garantendo un risultato costante nel tempo, con eventuali minime variazioni legate ad agenti esterni, per esempio la resa di un ingrediente. Tutto questo però ha a che fare con il gusto, mentre ciò che non è riproducibile è la sfera legata a come viene vissuto. Mi sorprendo io stessodelle mie reazioni nel sentirmi diversamente, a volte anche da un giorno all’altro, di fronte alla stessa cosa. L’indagare il cibo come mezzo di confronto fra un mondo interiore e uno esteriore èun aspetto che mi affascina, e su questo punto ho trovato molto illuminanti alcuni scritti di Walter Benjamin di cui sono stato messo a conoscenza, sull’atto del mangiare e la sua relazione con il percepito, con il tempo e con la memoria. Prendo allora spunto proprio da uno di questi perraccontare la storia del re, del suo cuoco e delle omelette di more di gelso. Così chi nel gustare quei piatti del menu che ha già conosciuto in passato provasse la delusione di non ritrovare certesensazioni, non ordini poi al boia di tagliarmi la testa.» C'era una volta un re molto potente e ricco, che ciononostante diveniva di anno inanno sempre più malinconico. Un giorno mandò a chiamare il suo cuoco personale e glidisse: «Devi farmi l'omelette di more del gelso, così come l'ho gustata cinquant'anni fa, nellamia prima giovinezza. Da allora non ho più trovato qualcuno che sapesse prepararmela. Seesaudirai questo desiderio, farò di te l’erede del mio regno. Se non mi accontenterai, dovrai morire». Il cuoco gli chiese quando, e dove la mangiò, e dopo aver ascoltato il racconto rispose: «Mio signore, tanto vale che chiamiate subito il boia. È vero che conosco il segreto dell'omelette di more del gelso e tutti i suoi ingredienti, ma dovrò morire perché la mia omelette, mio Re, non sarà di vostro gusto: come potrei, infatti, condirla con tutto ciò chequella volta avete assaporato in essa?»                                                                  

[W. Benjamin, Maulbeer omelette, 1930]

Ral 6001 classic breve descrizione dei piatti

Lingua brasata al Barolo

Da sempre nella cucina di Scabin convivono piatti strettamente tradizionali e altri più d’avanguardia: la lingua brasata, un classico della cucina piemontese, viene introdotto in carta per la prima volta nel 2000. Il successo è immediato al punto da diventare tanto iconico quanto il cyber-eggs. Nel 2007 la lingua è la protagonista del Gelinaz plays Davide Scabin all’Homnivore Food Festival di Le Havre. Come all’epoca scrisse Andrea Petrini: “Se venite, troverete Scabin alle redini d’un suo one man show (Go to Punto Zero del Gusto NaCiPlus) nonché oggetto cult d’un omaggio del collettivo dei Gelinaz! il meta-conceptual gruppo di Pierangelini, Andoni, Bottura, Marx, Nilsson & Co. che, con i fiancheggiatori Josean Martinez Alija, Kasper Kurdhal e René Redzepi, presenterà l’inedito recital “Gelinaz plays Davide Scabin”. Ovverosia una libera e incrociata riscrittura scenica d’uno dei piatti più classici del repertorio scabiniano: la Lingua brasata al barolo. In versione carpaccio, raviolo dolce da dessert, ragù alla bolognese, all’aceto di alcool e con pelle di latte all’infusione di vinacce nebbiolesche. Passa parola: per Gelinaz la lingua è più chic d’un cheek to cheek!” Chi c’era può testimoniare di aver visto Marc Veyrat togliersi il cappello in segno di rispetto dopo averla mangiata. Marc Veyrat non toglie mai il cappello.

Bombolotti al sugo di coda

Altro classico, stavolta della cucina romana, introdotto per la prima volta nella trattoria Blupum di Ivrea: la coda alla vaccinara usata per condire la pasta, aderente alla versione che la vuole servita con il sedano. I vaccinari erano i macellai che abitavano nel Rione Regola; questa preparazione appartiene ai piatti più rappresentativi della cucina cosiddetta “del quinto quarto”. Agli aficionados ricorderà quell’uno-due del Viaggio verso Atavica del 2018 che iniziava con la lingua e proseguiva con la storica coda di bue glassata al forno che risale al 1996.

Colombaccio 3style: crudo tiepido, glassato, stufato

Il colombaccio è una specie di dimensioni più grandi del piccione domestico, e con carni nettamente più sode e saporite. Predilige le foreste e i boschi marginali (da cui il nome inglese di Wood Pigeon), ma si è facilmente adattato a campagne e centri abitati la cui presenza è spesso associata a torri e colombaie. Nelle regioni italiane, densità più significative si riscontrano nelle regioni nord-occidentali, e nel Veneto dove i Torresani di Breganze sono inseriti fra i prodotti tradizionali veneti. Il piatto nasce insieme ai sous chef Francesco Polimeni e Kevin Gardini con l’intenzione di esaltare le caratteristiche di questo volatile: tenerezza, con il filettino del petto servito nature; gusto, con il petto glassato arricchito da una scaloppa di foie gras; territorio, con la coscia stufata che fa da ripieno a un caponèt.

Dinamico di rombo, cozze e fagioli

Scabin: «Dinamico è un termine che ho scelto con molta accuratezza per definire un processo di evoluzione che avviene in bocca durante la degustazione del piatto. Lo utilizzai più di dieci anni fa per il “dinamico di bue e gallina”, e ben si addice oggi a questo piatto pensato insieme a Francesco e Kevin, dove microelementi come il tabasco verde e il limone, in dosi quasi impercettibili, si combinano con i sapori molto nitidi, immediatamente identificabili, del filetto del rombo, dei fagioli e delle cozze. La dinamicità del piatto passa attraverso il crescendo del gusto. Si gioca su continui scambi fra elementi primari, il rombo, e elementi di complemento, come le cozze e i fagioli, in una trasformazione che è anche visiva: un rombo, all’inizio l’elemento più evidente ma dal gusto più delicato, chiude in un condensato esplosivo di sapore, un ristretto di una intensità incredibile che è quasi una glassa ottenuta dal recupero di tutte le lische e cartilagini. La cozza, invisibile nei fagioli e sul rombo all’inizio, si presenta intera alla fine, nella sua naturale complessità di consistenza e sapore.»


 

Un piemontese a Tokio: plin di cervo in consommé di seppia

Viaggiatore incallito, ma di viaggi alla Jules Verne, non è la prima volta e non sarà l’ultima in cui nel nome di un piatto Scabin farà riferimento ironicamente all’idea di un incontro fra luoghi e culture (chi ricorda l’Americano a Bologna alzi la mano!) Nel caso di questa combinazione che assolve la delicata funzione di ponte fra le portate di terra e quelle di mare, ci si trova nel sequel di una saga Italia-Asia iniziata con Un toscano a Bangkok (sottotitolo “Psyco”) che, come racconta Scabin: «È la storia di un toscano che per amore si trasferisce a Bangkok, ma da bravo italiano non vuole rinunciare al cervo coi fagioli all’uccelletto. Vallo a trovare il cervo in Thailandia! ma si sa, l’amore fa scalare i monti, e la moglie alla fine tutta felice glielo prepara. Non avendolo mai cucinato prima, gli presenta un cervo con i fagioli cannellini servito con cocco, zenzero, lemongrass e coriandolo. Come finisce? Il piatto ha come sottotitolo Psyco, fate voi.» Per il piemontese a Tokio non spoileriamo il finale, ma va da sé… i sabaudi sono meno sanguigni dei toscani.

Risotto al cetriolo, ostrica e Guinness

Risale alla metà degli anni dieci del 2000 l’ideazione di questo risotto come risultato degli studi sull’amaro che Scabin continua ancora oggi a condurre: «dosare l’amaro è molto complicato, ha molteplici sfumature e non sempre in combinazione con altri elementi trova una dimensione piacevole. In questo risotto gli elementi fondanti sono la freschezza e l’amaro. Il primo dato dal profumo intenso del cetriolo, il secondo da un gioco calibrato fra la riduzione di Guinness e i cubetti di cetriolo parzialmente bruciati che servo sull’ostrica.»

Storione White and Black, RAL 6001

Un piatto che nasce da un lavoro di squadra su una idea giocata sui contrasti fra consistenze, sapori e colori, e che grazie a quella unica presenza di verde sul pesce bianco solo appena lambito dal nero del carbone, finisce suo malgrado per raccontare una storia tutta torinese che risale addirittura al 400 d.C. ed è perdurata fino a pochi decenni fa. Quella di quando, in occasione della festa di San Giacomo a luglio, i pescatori radunatisi a corteo lungo il fiume Po, pescavano alcuni storioni che venivano fatti benedire e poi ributtati nel fiume dove alcuni nuotatori si sarebbero tuffati per catturarli e conquistare il titolo di "Abate" della festa. Perché fossero riconoscibili, prima di essere messi di nuovo in acqua gli storioni, venivano contraddistinti con un nastro colorato.


 

Carciofo Baccarà, tonno in marinatura leggera

“Un carciofo cotto da Mosè prima che si aprissero le acque”: così un commensale ha definito questo carciofo a stelo lungo, perfettamente tornito, che si accompagna a un trancio di tonno in una marinatura leggera. Il piatto, che nasce dalla semplicità del tonno e carciofini, è il territorio di applicazione di uno studio sulla gestione dell’umami – storico campo di indagine di Scabin. Prima di debuttare ufficialmente nel 2018 – dove rimase in carta solo tre mesi nel Viaggio verso Atavica – il Baccarà fu oggetto di un fuori menu per il gastronomo, ma soprattutto amico, Bob Noto che all’assaggio non profferì parola, si alzò solo in piedi rimanendo in rispettoso silenzio.

Un catanese in Piemonte

Il cavolfiore intero arrosto è un cavallo di battaglia della cucina di Scabin: preparazione versatile, nella moda si definirebbe un capo base, quel tubino nero da buttare in valigia e definire con gli accessori a seconda dell’occasione. Coltivato su terreni vulcanici che gli conferiscono un sapore inconfondibile, inserito fra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali, il cavolfiore violetto di Catania conosciuto anche come Natalino, risulta più gustoso del cavolfiore bianco comune. L’incontro con il Piemonte avviene grazie all’altro standard scabiniano che è la salsa leggera all’acciuga ovvero una sorella più delicata della bagna cauda, e il burro maître d’hotel.

Cardo e king crab

Via condimenti, via preparazioni elaborate, la scena è tutta per il signore dell’inverno e il signore dei mari, figli del freddo. Un connubio felice, l’unione di due contrasti in consistenza e gusto: amaro-sapido da un lato e dolce e tenero dall’altro. Il cardo e il king crab non hanno bisogno di molto se non di essere presi per mano da quel diamante della cucina che è il tartufo nero, per assolvere alla delicata funzione di trait d’union fra il tempo del salato e il tempo dei dessert.

Agrumi in aspic di Hibiscus

Pompelmo, mapo, arancio, cedro, limone e finger lemon armonizzati dalla gelatina di hibiscus: ovvero il primo tassello del progetto di Davide Scabin di riportare in tavola la frutta non come ingrediente di un dolce ma come protagonista, restituendo un posto d’onore a questo che per secoli rappresentò un alimento prestigioso presente soprattutto sulle tavole dei nobili e dei ricchi. Una preparazione giocata tutta sulle acidità, dalle diverse sfumature naturali degli agrumi a quella delicata del fiore dal quale si ottiene il carcadè.

Soufflé di barbabietola, latticello e melissa

La versatilità della barbabietola in cucina è ogni volta sorprendente: le componenti aromatiche di questo tubero sono adatte a preparazioni salate e, senza dover forzare il gusto, anche alle dolci, grazie alla naturale componente zuccherina e alle intrinseche note di vaniglia e caramello. Si interviene quindi solo a bilanciare l’acidità, con il latticello a metà fra un sorbetto e un gelato, e le foglie di melissa.

Turin-Paris-Brest

La storia vuole che questo dolce, oggi un classico della pasticceria francese, sia nato nel villaggio di Maisons-Laffitte per opera del pasticcere Louis Durand in occasione della corsa ciclistica ParisBrest-Paris, da cui si spiegherebbe la forma tondeggiante che ricorda una ruota di bicicletta. Pasta choux e crema mousseline alla mandorla: tutto è rispettato nell’esecuzione del dolce, che però vive di nuova vita quando la corsa fa un detour per Torino dove il è d’obbligo passare il boccone (lett. fare scarpetta) sulla riduzione di Punt&Mes. Una bella intuizione frutto della collaborazione fra il sous chef Polimeni e il pastry chef Matteo Dinoia.

Whisky, savouries and billiards

Sherry, sweets, cards and chats I savouries – che tradotto letteralmente sarebbe piatto salato – erano una portata molto popolare nelle cene eleganti in epoca vittoriana. La consuetudine, ancora in uso anche in età edoardiana, era servire un piccolo boccone, come quello che noi oggi chiameremmo amuse-bouche, salato, cremoso e speziato, che serviva come digestivo dopo un pasto ricco. Poteva avere la doppia funzione sia come piatto finale, sia per precedere il servizio delle friandises. Quello che succedeva dopo cena, quando gli invitati erano condotti nel salotto, era che i gentiluomini preferivano i cibi salati, che meglio si accompagnavano al whisky, ai sigari, ai discorsi di politica e al gioco del biliardo, mentre le signore riunite in un salottino a parte indulgevano sulla piccola pasticceria accompagnata dallo sherry, dedicandosi alle carte e, soprattutto, alle chiacchiere. Si gioca su queste atmosfere retrò, allora, invitando gli ospiti a lasciare la sala da pranzo e a passare il dopocena nei salottini dove insieme a caffè o tè, la scelta cade su due possibilità: per chi ama whisky, è servito uno dei migliori blend sul mercato, il giapponese Nikka from the barrell accompagnato da una selezione di amuse bouche salati. Per chi preferisce il dolce, è servito lo Sherry East India Solera Lustau accompagnato da una selezione di piccola pasticceria. È questo il momento quando la festa si fa tale, diventando vero e proprio convivio che, in fondo, è il principio fondante e il fine ultimo del mangiare insieme.

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