L'avvocato del cuore

Naspi: dimissioni, fine contratto, licenziamenti. I casi in cui si ha diritto

di Gian Paolo Valcavi

“Dimettendomi volontariamente non ho diritto alla disoccupazione, ma se tornassi a lavorare e il contratto cessasse potrei attingere alla mia vecchia disoccupazione o quella sparisce?”

La domanda del Lettore fornisce lo spunto per poter effettuare un “ripasso” (siamo in periodo di esami di maturità …) sulla NASpI, cioè la Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego. Si deve convenire che l’acronimo non sia certamente accattivante: Il Legislatore italiano non ha mai brillato da questo punto di vista: basti pensare a TASI & TARI, che sembrano più i nomi di due gemelli della mitologia (come Castore e Polluce) che gli acronimi di due tasse.

Con la NASpI si cerca di dare un sostegno al reddito nella fase di transizione lavorativa a quelle persone che abbiano perso involontariamente il proprio posto di lavoro, quindi in tutti i casi di licenziamento o di dimissioni per giusta causa.

Nelle intenzioni originarie del Legislatore la NASpI doveva essere accompagnata da una serie di politiche attive (cioè servizi per facilitare la ricollocazione) con cui realizzare quelle politiche di Flexicurity (cioè l’equilibrio tra flessibilità e sicurezza) cui tutti i moderni mercati del lavoro mirano.

Purtroppo, la riforma non si è compiuta: le politiche attive che dovevano essere gestite centralmente dall’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro, cioè l’ANPAL (altro acronimo non fantastico) sono state una delle vittime del referendum del 4 dicembre 2016 e, quindi, oggi della riforma complessiva è rimasta solo la NASpI.

I requisiti essenziali per accedere alla NASpI

Come correttamente ricorda il Lettore, la NASpI non spetta a chi decida volontariamente di lasciare il lavoro ed a chi non sia un lavoratore subordinato.

Altro requisito per poter richiedere l’assegno è di aver versato tredici settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione. Ovviamente deve trattarsi di periodi di lavoro effettivo e, quindi, non sono rilevanti i periodi di sospensione del rapporto durante i quali non vengano effettuati versamento contributi, come nel caso della CIGO o della CIGS a zero ore.

Ultimo requisito è quello di aver accumulato trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

Pertanto, il Lettore potrà tranquillamente richiedere la NASpI laddove venga riassunto come lavoratore subordinato e perda involontariamente il posto di lavoro. Il tutto a condizione che, andando a ritroso rispetto alla data della nuova perdita dello stato di occupazione, possa vantare 13 settimane di versamenti nei 4 anni precedenti e 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti.

Comprendo che, ad una prima lettura, sembra quasi di dover rispondere ad un enigma della Sfinge di Tebe: il Lettore potrà tranquillizzarsi pensando che si tratta di requisiti facilmente cumulabili, visto che si chiede di aver lavorato in regola per almeno 13 settimane in quattro anni, di cui almeno 4 nel corso dell’ultimo anno.

I requisiti possono essere schematizzati così:

grafico 1
 

Per quanto e quanto spetta?

Ciò che invece è direttamente influenzato dai versamenti contributivi effettuati negli ultimi quattro anni è la durata e l’entità dell’assegno.

Infatti, il Lettore riceverà tanti assegni mensili di NASPI pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, entro un massimo di 24 assegni mensili.

Quindi, la massima copertura (cioè 24 mesi) spetta solo a chi ha versato contributi in tutti gli ultimi 48 mesi precedenti la disoccupazione. Per il resto si tratta di applicare lo schema della tabella:

 

Periodo di riferimento

4 anni, cioè 48 mesi prima della disoccupazione

Mesi di versamenti contributivi

Mesi di NASpI

48

24

24

12

12

6

 

Per calcolare l’assegno si deve, purtroppo, “sfidare” nuovamente la Sfinge di Tebe: si  prende, infatti,  il 75% della media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni (ancora, quindi, gli ultimi 48 mesi) e ricordare che il tetto massimo è fissato per l’anno 2020 in Euro 1.335,40.

Proprio perché la NASpI doveva essere un sostegno nella transizione lavorativa e, quindi, doveva incentivare la ricerca di una nuova occupazione l’entità dell’assegno decrementa a partire dal 91° giorno in ragione del 3% al mese. Si voleva in tal modo incentivare la partecipazione attiva alla ricerca di nuove occasioni di lavoro, sanzionando coloro che restano inattivi e garantiti solo con la copertura della NASpI.

Purtroppo, l’assenza di vere politiche attive da parte dell’ANPAL e del sistema si risolvono in una sanzione ai danni di soggetti incolpevoli, che devono affrontare da soli le fasi di passaggio da un lavoro all’altro.

 

Avv. Gian Paolo Valcavi - Per Studio Avvocato Bernardini de Pace