Lo sguardo libero

Partito “territoriale” di Di Maio? Stride con autoreferenzialità dei 5 Stelle

Ernesto Vergani

Il populismo è caratteristica secondaria del movimento fondato da Beppe Grillo

Luigi Di Maio vuole dare vita a una struttura politica territoriale, a livello regionale e comunale. “Anche se il vicepremier non lo dice apertamente – scrive Alberto Maggi su questo giornale - di fatto, parte la trasformazione in partito”. Inedite le parole del vicepremier pentastellato, che, se lette in un’ottica liberale, sanno di federalismo: “Mettere al centro dell’azione politica i cittadini e i loro interessi”.

Inaspettate per chi pensa che il federalismo sia una delle declinazioni più alte della democrazia, tuttavia esse sembrano poco congruenti con l’atteggiamento mostrato finora dal M5S: per così dire autoreferenziale-"assolutista"-post-ideologico, che va oltre la dicotomia destra/sinistra e cade quasi sempre in quella giusto/ingiusto, tipica dei movimenti etico-centralisti.

L’aspetto populista, altra caratteristica dell’organizzazione fondata da Beppe Grillo, sembra essere secondario; minore, corrispettivamente e proporzionalmente, di quanto lo sia per la Lega rispetto alla componente liberale e di destra, che costituzionalmente è cifra del partito fondato da Umberto Bossi… ma non si dimentichi il lato di sinistra: “La Lega – sostenne Roberto Maroni – non è di destra!”.

In un certo senso è come se Di Maio individuasse (consapevolmente?) nel DNA del movimento la causa dei 300mila voti persi alle Regionali sarde di domenica scorsa: rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, un elettore su cinque ha abbondonato i 5 Stelle e gran parte di questi o non hanno votato - “i disillusi”… rimarrebbero certo fedeli quelli legati all’aspetto utilitaristico: si legga: reddito di cittadinanza - o lo hanno fatto però privilegiando più lo schieramento di destra che quello di sinistra.