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Lo sguardo libero
Grazie agli italiani, Italia autorevole nella stanza dei bottoni dell’Ue
Ursula von der Leyen, presidente uscente della Commissione, potrebbe essere riconfermata nell'incarico (indicato dal Consiglio europeo e confermato dal voto del Parlamento).

Il 17 giugno si terrà a Bruxelles la cena informale del Consiglio europeo in cui i Capi di Stato e di governo dei 27 si confronteranno sulla distribuzione dei top jobs dell’Ue

Gli italiani si scoprono pragmatici e, come auspicato da queste colonne, votano alle elezioni europee per i partiti che avrebbero avuto più possibilità di entrare nella stanza dei bottoni dell’Ue. Col 9,6% dei consensi, Forza Italia, che molti davano in netto calo dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi (avvenuta giusto un anno fa, il 12 giugno), esce rafforzata dalle urne, anche grazie all’alleanza (“pragmatica”) con Noi Moderati di Maurizio Lupi. Il gruppo cui appartiene FI, i popolari europei (Ppe), con 186 seggi è il più rappresentato a Strasburgo. “Risultato enorme – ha detto il segretario Antonio Tajani - non siamo un partito museo, non è più la FI di Berlusconi ma i valori sono quelli”.

Il Pd, guidato da Elly Schlein, cresce in Italia al 24,1% e diventa la formazione politica più votata del secondo gruppo europeo cui appartiene, quello dei socialdemocratici (S&D, 135 seggi). Affermazione di FdI, il partito della premier Giorgia Meloni, che raccoglie il maggior numero di consensi in Italia (28,2%) e potrà autorevolmente dire la sua nelle scelte che contano. A partire da quella del prossimo presidente della Commissione europea - malgrado il gruppo, di cui Meloni è presidente, i conservatori e riformisti (Ecr, 73 seggi), non faccia parte dello schieramento della maggioranza uscente, costituita da popolari, socialdemocratici e liberali (RE, 79 seggi). Da ricordare che il commissario viene indicato a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo (quindi dai capi di Stato e di governo) – spetterà ai popolari quale primo gruppo indicarlo - e votato dalla plenaria del Parlamento a maggioranza assoluta (probabilmente a fine giugno). Si pensi al contrario: la debolezza con cui potranno interloquire il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, entrambi pesantemente penalizzati dalle urne, con il primo che è arrivato a sciogliere il Parlamento di Parigi e a convocare elezioni anticipate (30 giugno e 7 luglio).

Già lunedì prossimo (17 giugno) nella cena informale del Consiglio europeo, i capi di Stato e di governo dei 27 cominceranno a confrontarsi sulla ripartizione degli incarichi di vertice dell’Ue: dal nuovo presidente della Commissione (potrebbe essere riconfermata, anche con il voto di parte dei parlamentari dell’Ecr grazie all’azione di Meloni, Ursula von der Leyen, quale candidata dei popolari europei) ai vicepresidenti. Gli altri incarichi: dai commissari (per l’Italia potrebbero essere l’ambasciatrice Elisabetta Belloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti), al presidente del Consiglio europeo (uscente Charles Michel) a quello del Parlamento (uscente Roberta Metsola) all’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri (uscente Josep Borrel).

A proposito di pragmatismo, non degli italiani, ma dei politici. La non alleanza tra Italia Viva di Matteo Renzi (3,8%) e Azione di Carlo Calenda (3,4%) finisce per escludere entrambe le forze dal Parlamento europeo (Renzi oggi propone di azzerare tutto e creare un nuovo terzo polo guidato da un nome nuovo). L’alleanza, in atto da tempo, tra Verdi (Angelo Bonelli) e Sinistra (Nicola Fratoianni) ha successo (6,7%, risultato trainato dalla candidatura di Ilaria Salis e dalle posizioni filopalestinesi di AVS). Pragmatica anche la scelta di Matteo Salvini, che mantiene la Lega al 9%, di candidare il generale Roberto Vannacci, che fino all’agosto del 2023, quando si autopubblicò il libro “Il mondo al contrario”, nessuno conosceva. Non pragmatica la scelta di Giuseppe Conte (10% dei consensi, il peggior risultato nella storia del movimento fondato da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio), di non candidarsi come capolista in nessuna delle cinque circoscrizioni - per giunta il M5S nella legislatura uscente non aderiva (“non pragmaticamente”) a nessun gruppo del Parlamento, il che significa non partecipare alla spartizione degli incarichi (presidenze, vicepresidenze, ruolo di relatore etc.) né a quella dei fondi. 

 

 






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