Doha, la nuova frontiera del calcio (e non solo)
Supercoppa italiana a Doha, Qatar.
Emozioni forti.
Vince il Milan dei suoi giovani, della voglia di portare in bacheca un trofeo che mancava da oltre un lustro.
Una gara ricca di episodi, culminata con la lotteria dei rigori.
Come Manchester 2003.
Milan e Juventus che si rincontrano dopo la finale di coppa Italia di maggio e la partita di campionato di ottobre.
Nessuna differenza si è notata sul rettangolo di gioco, seppur sussista un differente e sostanziale tasso tecnico tra le due compagini.
Il Milan dei suoi giovani di belle speranze che si emozionano per il loro primo trionfo, che surclassano la corazzata Juventus composta da tanti campioni che ancora debbono "diventare" una squadra (devono fare presto perchè in queste condizioni la Champions rimarrebbe un miraggio).
Emozioni e adrenalina. Migliore pubblicità per lo sport più bello e popolare del Pianeta.
Purtroppo non è più così.
Il contesto, la location (per usare un termine cool) in cui si è disputata la partita mi porta un velo di tristezza e di preoccupazione.
Un amarezza per me, come per altri milioni di tifosi di vecchia data che sono stati "infettati" da un morbo tenace quale il tifo calcistico.
Doha, capitale del Qatar, uno dei straricchi Paesi della penisola arabica che si affacciano sul Golfo Persico.
Nazioni emergenti grazie ai petrodollari.
Del resto pecunia non olet, e la grana, i daneè, l'argent, sono una componete sempre più importante per il vorace circo del calcio internazionale.
Emirati, Cina, India.
La nuova frontiera del calcio.
Imprescindibile, tanto che i dirigenti delle maggiori compagini pallonare europee non disdegnerebbero far disputare non solo amichevoli prestagionali e supercoppe nazionali, ma anche alcune gare dei campionati maggiori.
Sarà questo il futuro del calcio?
Stadi modernissimi fabbricati in mezzo a lande desertiche, con temperature infernali, con gli spalti affollati dai nuovi magnati del Pianeta, con un' atmosfera all'interno dei catini più simile ad un teatro lirico che ad un'arena sportiva.
Anzi no, non è esatto accostare questi nuovi impianti dei signori del petrolio ai teatri lirici, perchè non posseggono nulla della cultura, delle tradizioni centenarie della storia dell' umanità.
Seggiolini scintillanti, troni damascati in tribuna centrale per i dirigenti e le autorità; uno stadio molto simile ad tenda berbera probabilmente arredati con tappeti Tabriz, Isfahan, Kashan, con le rubinetterie d'oro e le vasche idromassaggio Jacuzzi.
Terreno di gioco perfetto con il colore dell'erba verde scintillante, in stile prato delle dolci colline del Kent.
Balaustre disadorne e spoglie senza il colore degli striscioni e delle pezze dei gruppi e dei club delle tifoserie (a Doha erano presenti pochi rappresentanti eroici delle due squadre che si sono sobbarcati il viaggio e il relativo costo e che hanno fornito un po' di folclore alla triste aura).
Ordine e ricchezza.
Lusso; il lusso più sfrenato e ostentato che cozzava contro la tristezza dell'atmosfera che si percepiva all'interno di quei catini.
E sì, perchè ieri sera dall'audio dei televisori si poteva udire solo il "silenzio" della folla, le urla degli allenatori, il fischio dell'arbitro, e qualche coro monosillabico dei "nuovi" tifosi che scandivano il nome di qualche loro beniamino o le esclamazioni di stupore o delusione per qualche giocata dei 22 calciatori.
Nulla di cosa sia il calcio, ma non solo.
La nostalgia dei campi spelacchiati, della segatura delle aree di rigore durante i mesi invernali, gli spalti in cemento armato, gli stand in legno, mi invade l'anima.
La nuova frontiera dello sport ci conduce alla sua fine.
Perchè tutti gli sport professionistici hanno ormai abdicato a favore dei petrodollari.
Mondiale di ciclismo disputato in quelle lande a 40° di temperatura; Formula uno in notturna; tennis; golf, ecc.
Mi fermo qua.
Non voglio guastarmi la forte emozione che mi hanno generato le lacrime del giovane Locatelli non appena Pasalic ha segnato il rigore decisivo.
Quello è il calcio che amo.
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