Coronavirus

Vaccino, quando i governanti non davano ai cittadini solo vaghe… Speranze

Di Pietro Mancini

Tra storia e attualità. Quando i governanti non davano ai cittadini solo vaghe... Speranze, ma prendevano decisioni rapide e ottenevano risultati concreti

Durante queste giornate, in cui la ricerca di un vaccino è vitale per milioni di persone nel mondo, credo che sia utile ricordare l’introduzione, nel nostro Paese, del siero, che sconfisse la poliomielite. In Italia-che, nel 1958, aveva registrato 8.000 casi di poliomielite-il vaccino di Albert Bruce Sabin (1906-1993) fu autorizzato solo nel 1963 e reso obbligatorio nel 1966. Il ritardo, nella sua adozione, al posto del siero, inefficace, di Salk, costò quasi 10.000 casi di poliomielite (oltre 1.000 morti e 8.000 paralisi).

L’ultimo caso italiano risale al 1982.Lo scienziato americano, che rinunciò a brevettare il vaccino, in un’intervista all’Europeo, ricordò, molti anni dopo, il suo incontro, decisivo, a Roma, con i dirigenti dell’Istituto superiore di Sanità : “Signori-disse Sabin-se non prenderete una decisione, sarete indicati come i responsabili della morte di tanti bambini....Gli alti funzionari, evidentemente contrari, si alzarono e stavano per uscire dalla sala. Ma allora prese la parola il vostro ministro. Era un socialista, mi pare si chiamasse Mancini, che affermò : ‘Non sono qui per ascoltare le vostre lagne. Da domani l’Italia adotterà il vaccino Sabin’. 

Grande sorpresa, qualcuno obiettò e pose difficoltà. «Ma qual è il problema? » domandò il ministro. « La conservazione, non abbiamo i congelatori », fu la risposta. « Comprate dieci, cento frigoriferi, da famiglia, e non rompete più i coglioni !». Egli stesso telefonò al titolare della Ignis, comm. Giovanni Borghi, che inviò migliaia di frigoriferi, per conservare le dosi del siero. Una settimana dopo, cominciò la vaccinazione con il Sabin : due gocce sullo zuccherino. All’inaugurazione ufficiale, presso l’Opera nazionale maternità e infanzia, fu presente il presidente della Repubblica, Antonio Segni. 

Il primo marzo 1964, in tutte le scuole italiane, il medico del distretto dava ai bambini una zolletta di zucchero, dove erano state versate due gocce di vaccino Sabin. La vaccinazione pose fine a una malattia, che aveva creato danni non solo umani, ma anche economici. È il responsabile del ministero della Salute promosse una campagna pubblicitaria pro-Sabin, alla quale parteciparono personaggi famosi dello spettacolo, da Sandra Milo a Nino Manfredi. L’opinione pubblica doveva conoscere lo sforzo, che il Governo stava facendo, per salvare tantissimi bambini da un brutto destino.

Non so se l’attuale ministro, Roberto Speranza, nato 16 anni dopo, conosca quella pagina, molto importante, della sanità pubblica del 1900. Potrebbe, forse, apprezzare, in una fase resa drammatica dalla pandemia e affrontata dal governo con troppe oscillazioni e incertezze, il decisionismo, la concretezza, che quel suo predecessore degli anni 60 dimostrò.  Quel governante non scaricò le responsabilità delle scelte sui medici, sugli scienziati, sulle commissioni tecniche.

E non diede agli italiani vaghe speranze, ma puntò a risultati positivi, prendendo decisioni rapide e pratiche. Chi era quel governante ?  “....Mi pare si chiamasse Giacomo Mancini...”, come disse Sabin e come l’editore Walter Pellegrini ha voluto intitolare il libro, che ho dedicato a quella battaglia con la quale-secondo l’ex premier, Giuliano Amato, e lo storico Paolo Mieli-l’ex ministro ed ex segretario del PSI pre-craxismo (1916-2002)-a cui Virginia Raggi ha intitolato una bella strada di Roma, vicina a viale Togliatti -è entrato nella storia dell’Italia.