Costume

Coronavirus. La rivoluzione sociale della natura

Daniele Rosa

Un virus proletario contro il mostro della globalizzazione

Un virus proletario, nato nella povertà e partito all’attacco delle Capitali del business, della comunicazione, delle relazioni  nel mondo.

Un virus che ci ha però costretto a riscoprire i valori sociali della nostra natura. Valori che ci eravamo dimenticati come quelli della famiglia, della solidarietà (eccezion fatta per tedeschi, olandesi, finlandesi e austriaci),della libertà, del risparmio, dell’amor patrio.


E in questa storia drammatica come non pensare al mercato di Wuhan, incomprensibile per noi occidentali nella sua diffusa povertà e nel suo allucinante ‘modus operandi’.

Coronavirus.La rivoluzione sociale della natura

Quanti di noi hanno distolto lo sguardo dai filmati che riprendevano i poveri banchi del mercato dove, presentati in bella vista ,si trovavano pipistrelli impalati pronti per essere cucinati, serpenti arrotolati, topi fritti o, peggio del peggio, le gabbie con cani indifesi pronti per il macello.

Immagini crude, ma non crudeli, se inserite in una logica di cucina cinese dove si apprezzano fin dall’antichità i sapori del selvaggio e di qualsiasi animale, sapori inimmaginabili per noi occidentali.

Eppure in quell’espressione massima di proletariato il virus è nato ed è partito come un angelo vendicatore verso la ricchezza, il benessere, il business. Andando a contagiare con metodica precisione le grandi metropoli del mondo, quelle dove si fanno affari,dove la vita è frenetica e i contatti, innumerevoli, fanno parte del business.

Dalla povera Wuhan si è scatenato a Milano, nella Capitale economica del Paese e nella ricca e operosa Lombardia. Sta ammazzando con precisione chirurgica i tanti senior che di questo benessere ne sono stati coautori. E non è  arrivato con l’aria o attraverso qualche barcone dal mare. No si è probabilmente servito di un manager di multinazionale che dopo un viaggio a Wuhan lo ha portato in aereo, magari pure in business.

E poi è passato a Madrid, cuore pulsante della Spagna, e lì si è presentato con la stessa ferocia dimostrata in Italia. E purtroppo con una velocità di trasmissione che  non ha permesso ai tanti spagnoli di prepararsi alla difesa, soprattutto facendo tesoro della drammatica esperienza italiana.

Coronavirus.La rivoluzione sociale della natura

E da lì alla Francia il salto è stato breve ma rapido nel riempire di malati la grande Parigi. L’emblema nel mondo della ‘grandeur’francese.

Ha toccato ugualmente anche le terre degli egoisti, di quegli insensibili tra tedeschi, olandesi, finlandesi e austriaci che imbalsamati nel concetto di ricchezza stanno facendo persino fatica a raccontare quanti contagi e quanti morti hanno. Ma pure loro li hanno perché il ‘maledetto’ non rispetta neppure i loro grassi conti in banca.

Ha toccato attori, ministri, giocatori, politici, persino teste coronate, dal principe di quella Monaco così superesclusiva e aperta solo ai VIP al sangue blu dell’erede al trono di Inghilterra e pure a quello del suo primo Ministro.

E poi ha ripreso l’aereo ed è entrato nel Paese più difeso al mondo, gli Stati Uniti.

Ma dove sta colpendo duro? Dappertutto, dall’Alaska alle Hawaii passando per le Isole Vergini ma dove ha dimostrato tutta la sua potenza?

Nella capitale delle capitali, quella New York, sede della Borsa, delle Nazioni Unite una porta d’ingresso per milioni di turisti all’anno. E non si è fatto neppure scrupoli di far cambiare idea a colui che più di ogni altro aveva negato la sua esistenza e la sua letalità, il presidentissimo Donald Trump.

Pensava, l’uomo a capo della nazione che lui dice essere ‘la più potente al mondo, quella con la sanità migliore di tutti’ di riuscire in una settimana a debellare il ‘nemico invisibile’. Pensava bastassero i 2 bilioni di dollari messi sul tappeto. No il virus proletario si è piazzato a New York crescendo come una slavina con 60 mila contagiati e 1000 morti, la metà dell’intero Paese.

E adesso sta pensando come colpire nelle popolose favelas di Rio de Janeiro, nelle povere città messicane o in quell’Africa martoriata da tanti suoi colleghi. Ci sta pensando e forse potrebbe picchiare meno duramente, così come sembra stia facendo nel nostro complicato e debole Sud.

No il Coronavirus sembra essere davvero un rivoluzionario a difesa della natura e contro i responsabili degli ultimi 50 anni di quel disastro chiamato globalizzazione, un mostro peggiore dello stesso Coronavirus.

Un mostro che ha messo nelle mani di pochi ricchezze di interi continenti,  un mostro che lascia morire di fame e sete milioni di persone, un mostro che ha distrutto milioni di ettari di foreste e, con livelli sconsiderati di produzione, ha inquinato mezzo pianeta e provocato persino il disgelo dei ghiacci eterni.

E chiamiamo virus il Corona?

Forse un virus peggiore è invece il nostro modello di società globalizzata sulla carta e divisa nella realtà.