Cronache
A Natale niente compiti delle vacanze: la circolare della preside
La dirigente Antonella Mongiardo dice: "i ragazzi hanno diritto al riposo"
É molto difficile dare un giudizio netto sull'utilità o inutilità dei compiti a casa
La discussione sull'utilità dei compiti a casa si riaccende a ogni vacanza: quella estiva, quella natalizia, quella pasquale. A interrogarsi sulla loro utilità non sono solo i docenti, i genitori e gli alunni stessi, ma anche le istituzioni. Tuttavia, è molto difficile dare un giudizio netto sull'utilità o inutilità dei compiti a casa.
Sia come sia, per le vacanze di Natale 2022, gli studenti dell'Istituto comprensivo Manzoni-Augruso di Lamezia terme, in Calabria, non avranno compiti. Grazie alla circolare della preside Antonella Mongiardo, che dice: "A Natale niente compiti per le vacanze".
Il testo della circolare della preside Antonella Mongiardo
"Nella presente circolare si invitano i docenti dell’Istituto Comprensivo Manzoni-Augruso, di tutti gli ordini di scuola, a dare pochi compiti per le vacanze di Natale, limitandosi, in linea di massima, ad assegnare un ripasso degli argomenti svolti, tenendo conto delle diverse discipline, per consentire agli alunni di riposare e, al tempo stesso, non dimenticare i contenuti acquisiti in classe.
Si coglie, altresì, l’occasione per fare chiarezza sul senso che ha, in generale, la pratica di assegnare i compiti a casa, al fine di evitare comportamenti poco corretti. Premesso che nessuna norma impone di dare i "compiti a casa" e che il Ministero più volte ha raccomandato di ridurli e non assegnarli nel fine settimana e durante le vacanze (finanche nella scuola secondaria di secondo grado), la sottoscritta Dirigente Scolastica concorda sul fatto che sia opportuno regolamentare lo studio domestico, sempre più soverchiante, imposto agli studenti italiani (dati Ocse) fin dai primi anni di scuola, persino nelle classi a tempo pieno.
Porre un freno a questa pratica, in linea generale, si rende necessario in ottemperanza all'art.31 della Convenzione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza che sancisce, per ogni bambino/a e ragazzo/a, "il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…", ratificata dallo Stato italiano Il 27 maggio 1991, con Legge n.176.
Pertanto, nelle more di una formalizzazione di tale auspicata regolamentazione, da integrare nel Patto educativo di corresponsabilità, si rivolgono ai docenti le seguenti raccomandazioni (non vincolanti):
1) Non si assegnano compiti nel fine settimana e durante i periodi di vacanza o sospensione delle lezioni. Agli studenti deve essere permesso di ricrearsi (garantito il "diritto al riposo e al gioco"), e alle famiglie di ritrovarsi, senza l'assillo dei compiti.
2) Non si assegnano argomenti da studiare a casa che non siano stati spiegati in classe dall’insegnante, il quale, entro certi limiti, sarà disponibile a ripetere la spiegazione in caso di poca comprensione da parte di un alunno, o di assenza dell’alunno.
3) I docenti che decidano di assegnare compiti a casa si impegnano a correggerli tutti e a tutti, altrimenti non avrebbe senso farli.
4) I docenti che decidano di assegnare compiti si impegnano a preparare adeguatamente gli studenti affinché siano in grado di svolgerli per proprio conto, senza che i ragazzi debbano chiedere aiuto ai genitori.
5) Ai compiti svolti a casa non deve essere assegnato alcun voto, il docente non può sapere come e da chi siano svolti.
6) La giustificazione del genitore per il mancato svolgimento dei compiti deve essere acquisita evitando reprimende o punizioni.
7) I compiti assegnati per casa vanno annotati sul registro elettrico (obbligatoriamente) e anche se una traccia è stata dettata sul quaderno, va fatto un riferimento sul registro elettronico (ad. esempio, svolgere gli esercizi annotati sul quaderno, sviluppare il tema la cui traccia è stata settata sul quaderno).
Confidando nella consueta collaborazione di tutti, si coglie l’occasione per porgere cordiali saluti".
Tesi a favore dei compiti a casa
La funzione dei compiti è legata al lavoro che si fa a scuola. Per avere la massima efficacia devono avere un feedback da parte degli insegnanti (che, invece, non li correggono quasi mai e mai a tutti!).
Così non solo viene riconosciuto un valore all’impegno richiesto, ma gli insegnanti hanno anche modo di verificare eventuali difficoltà.
Devono avere un ruolo chiaro. I compiti non devono necessariamente “piacere” ma gli studenti devono capire bene a che cosa servono. Per esempio, leggere a casa tutti i giorni in prima elementare serve ad automatizzare il processo di lettura. E così per le tabelline in seconda. Permettono di fare collegamenti, favoriscono l’apertura mentale, stimolano curiosità e attenzione con ricerche e approfondimenti, consolidano il metodo di studio e l’autonomia.
Servono a imparare il metodo. Alle medie e alle superiori i ragazzi studiano da soli e memorizzano: questo è un lavoro che ha senso se i docenti hanno insegnato un metodo di studio, ad esempio l’uso delle mappe, le sottolineature, gli schemi, le linee del tempo, altrimenti diventa un esercizio di memoria e le nozioni apprese si perdono facilmente.
È quello che succede quando si studia solo per la prestazione. Si chiama apprendimento difensivo e avviene quando lo studente punta a rispondere semplicemente alle prestazioni richieste dalla scuola: studia per superare una verifica, ma non impara niente.
Tesi contro i compiti a casa
Tolgono tempo. Nessuno ha mai dimostrato l’utilità dei compiti: si assegnano, e si svolgono, perché lo si è sempre fatto; non si pensa a possibili alternative e nemmeno ci si preoccupa di giustificare un impegno così gravoso che toglie tempo ad altre attività (sport, arte, musica, spesso ignorate dalla scuola) e può causare rigetto per lo studio.
Se i compiti servissero a consolidare gli apprendimenti e ad acquisire un metodo di studio, allora dovrebbero essere svolti a scuola: è qui che si deve imparare a imparare.
Sono discriminanti. I compiti sono uguali per tutti. Ma non tutti gli studenti sono allo stesso livello e ognuno ha il suo modo di imparare: per qualcuno farli è semplice, altri devono impegnarsi molto di più, troppi non riescono.
Inoltre risultano avvantaggiati gli studenti che possono contare sul sostegno della famiglia.
La didattica cooperativa. La scuola ignora gli stili cognitivi dei ragazzi. Ogni persona usa strategie ed espedienti mentali per affrontare determinati compiti. Gli insegnanti per lo più ignorano il modo con cui i loro allievi apprendono e le loro potenzialità; pretendono riflessione, attenzione, memoria senza indicare i “gesti mentali” da compiere.
Talvolta basterebbe che i ragazzi confrontassero fra loro le rispettive strategie per superare le difficoltà di chi non riesce. Se si chiedesse allo studente che meglio ha risolto un problema, ostico per altri, di spiegare ai compagni come è arrivato alla soluzione, la volta dopo tutti avrebbero uno strumento in più. È il principio del mutuo insegnamento, ma la didattica cooperativa è assente nella scuola italiana.
Abitudini. A scuola tutto procede secondo riti e tradizioni obsolete. Si pensi al “tema”, la forma di scrittura più utilizzata e, tra l’altro, bandita già dai programmi del 1985. Per un ragazzo svolgere un tema significa scrivere per forza, sapendo che tutto ciò che scrive potrà essere usato contro di lui.
Problem solving. Inoltre la scuola continua a promuovere le abilità cognitive più basse (la memorizzazione di contenuti da ripetere a comando) e ignora le strategie cognitive più evolute come il problem solving o il pensiero divergente. La selezione per merito privilegia chi ricorda meglio. Ma si tratta di memoria a breve termine, utile solo ai fini di un’interrogazione.
(Tesi tratte da un articolo della giornalista Emanuela Cruciano)