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Ramy, dal silenzio mancato alle dichiarazioni boomerang sui carabinieri: il caso del super poliziotto Gabrielli
Se i magistrati parlano con le sentenze, dai grand commis ci si aspetta il silenzio, oltre al servizio fedele e zelante per lo Stato e le sue Amministrazioni

Gabrielli e il caso Ramy: il commento
Se i magistrati parlano con le sentenze, dai grand commis ci si aspetta il silenzio, oltre al servizio fedele e zelante per lo Stato e le sue Amministrazioni. Sappiamo che in verità molti magistrati preferiscono dichiarare – direttamente o per interposto giornalista – e molti alti dirigenti della Pubblica Amministrazione amano la ribalta. E’ difficile tracciare un profilo più da grand commis di quello che può esibire Franco Gabrielli: già prefetto, capo della Polizia, capo del Dipartimento della Protezione civile, direttore del Sisde e dell’Aisi (servizi segreti), e poi – last but not least – delegato del sindaco di Milano per la sicurezza e la coesione sociale. Fino a pochi giorni fa.
A lasciare l’ultimo incarico sarebbe stato il contraccolpo mediatico scatenato da alcune sue dichiarazioni – appunto, il silenzio mancato – sul “caso Ramy”, il giovane egiziano morto durante un inseguimento notturno a Milano alla fine di novembre dello scorso anno. Nel corso di una intervista radiofonica – sempre il silenzio mancato – Gabrielli commentò un video nel quale, a suo dire, potevano emergere responsabilità dei carabinieri, che durante l’inseguimento (dopo un mancato stop dei due giovani in motorino) avrebbero potuto comportarsi diversamente: “Non si può mai mettere in pericolo la vita di qualcuno nel tentativo di fermarlo. C’è sempre una targa, un veicolo”, sottolineando che esistono metodi alternativi e più sicuri per gestire le situazioni di fuga. Insomma, l’ex capo della Polizia metteva in croce due carabinieri.
Le sue dichiarazioni, oltre che inopportune (per un grand commis d’Etat) si sono recentemente rivelate anche improvvide. Pochi giorni fa il consulente della Procura di Milano (l’accusa nel provvedimento a carico dei due carabinieri, nell’ambito delle indagini sulla morte di Ramy) ha sostanzialmente assolto da ogni responsabilità la pattuglia dei militari: “A parere tecnico dello scrivente consulente, l'operato del conducente dell'autovettura Giulietta nell'ambito dell'inseguimento, risulta essere stato conforme a quanto prescritto dalle procedure in uso alle Forze dell'Ordine".
Un’occasione persa per tacere. Ma Franco Gabrielli ci ha stupito ancora: in un recente intervento alla presentazione di un libro, si è lasciato andare a qualche racconto (ancora il silenzio mancato) sulla sua lunga carriera ai vertici dello Stato. In particolare, si è soffermato su un episodio non marginale avvenuto durante la sua attività di Prefetto di Roma. Nel 2015 era in corso l’inchiesta “Mondo di mezzo”, o se preferite “Mafia Capitale”. Secondo l’accusa c’era un sistema mafioso che era infiltrato in ogni ganglio dell’Amministrazione comunale di Roma. C’erano le condizioni per commissariare il Campidoglio. Un atto che era nelle competenze (doveri?) del prefetto.
"Avevamo fatto una proiezione: commissariare Roma per mafia avrebbe fatto un danno pari al 2% del pil nazionale", ha rivelato Gabrielli pochi giorni fa, durante il suo intervento alla presentazione del libro "Storie Bastarde" scritto dal direttore dell’Adnkronos, Davide Desario. Quindi, l’ipotesi “dovuta” di commissariare Roma si rivelava come “non opportuna”. E già qui scopriamo una discrezionalità alta, da parte di un dirigente dello Stato, da cui ci si attende un servizio assoluto in ottemperanza delle leggi, non delle valutazioni socio-economiche, per loro natura opinabili.
Ma c’è di più. Visto che commissariare Roma era inopportuno, Gabrielli scelse una soluzione che oggi definisce “una mezza supercazzola”: lo scioglimento del Municipio di Ostia, “una forzatura di non poco conto, perché i municipi non hanno una personalità giuridica" ammette a distanza di dieci anni l’ex-prefetto. E si giustifica: "Disposi la commissione di accesso, cioè la verifica se il Comune di Roma poteva essere sciolto per mafia. Potete immaginare che cosa avrebbe significato per l’Italia avere la Capitale sciolta per mafia. Che fare? Proporre lo scioglimento o meno? Non proposi lo scioglimento perché mi rifeci alla considerazione dell’allora procuratore Pignatone: la mafia era originale, originaria, un qualcosa nato nella Capitale e per questo motivo si poteva non immaginare che ci fosse un’attività di proselitismo e di prosecuzione".
E allora barra dritta su Ostia: "Era complicato immaginare lo scioglimento di Ostia. Ma da un punto di vista criminale" non c'erano dubbi che "purtroppo a Ostia erano insediati da tempo i clan". La strada trovata, quella di sciogliere il municipio, "passatemi un po’ il termine, certamente poco giuridico, metagiuridico, è stata una mezza supercazzola”. L’espressione del conte Mascetti lo scorso anno è diventata vocabolo ufficiale della lingua italiana, ammesso dalla Treccani, ma da un grand commis non ci saremmo aspettati altro che il silenzio e magari nemmeno una forzatura della legge.