Ilva, parla il direttore dell'Arpa: "Tutta colpa della Prestigiacomo" - Affaritaliani.it

Cronache

Ilva, parla il direttore dell'Arpa: "Tutta colpa della Prestigiacomo"

di Mariella Colonna

Quanto inquina l’Ilva? Cosa ha spinto la magistratura ad avere un’attenzione particolare nei suoi confronti? Lo spiega ad Affari, Giorgio Assennato, direttore dell’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente della Puglia.

"L’inquinamento maggiore prodotto dall’Italsider, prima, e dal’Ilva, poi, è stato causato (e parzialmente determinato ancora oggi) dalle cockerie e dal c­amino E312 che - fino a pochi anni fa - emetteva quantità record di diossina", afferma Assennato. "Fortunatamente la situazione è cambiata in meglio grazie ad una serie di misure adottate dai custodi giudiziari, dall’Arpa e dalla nuova Aia (Autorizzazione integrata ambientale), quest’ultima ha comportato la chiusura temporanea della maggior parte degli impianti più nocivi, le cokerie, per l’appunto. Non a caso, l’attuale monitoraggio della qualità dell’aria rivela – per i due inquinanti più pericolosi (polveri sottili e benzo(a)pirene) - una migliorata  situazione rispetto al passato, nel senso che il benzo(a)pirene (rilasciato dalle cokerie) ha un livello molto basso (è  persino più alto in zone remote di Taranto), le polveri sottili si sono sensibilmente ridotte sebbene il livello sia condizionato dal vento di maestrale    che – soprattutto in alcune giornate – porta al rilascio sul quartiere Tamburi di notevoli quantità di polveri derivanti dall’erosione eolica".

La ricaduta di emissioni  industriali porta inevitabilmente ad un rischio sanitario per la popolazione tarantina attualmente contenuto, che potrebbe complicarsi qualora si raggiungesse la massima capacità produttiva di 8milioni di tonnellate di acciaio all’anno. 

"Ho suggerito, come Arpa, che la produzione sia ridotta al di sotto dei 7milioni in modo da determinarsi un rischio sanitario accettabile", continua Assennato. "E lo abbiamo fatto presentando una legge regionale (a luglio 2012) che è stata ahimè vanificata dal governo nazionale e sostituita con un’altra legge che gli ambientalisti chiamano ‘salva Ilva’. In sostanza si è cancellato il nostro procedimento e sovrapposto un altro basato su due principi che definisco irrazionali: il primo valuta la situazione attuale e non quella futura (a prescrizioni ultimate), il secondo tiene conto dei limiti ambientali che io giudico un principio nefasto perché è lo stesso che ha reso necessario l’intervento della magistratura. L’impianto industriale in questione godeva di una autorizzazione (legittima) dell’Aia  siglata dall’allora ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che fissava i limiti prescrittivi sproporzionatamente elevati che la magistratura ha definito una ‘licenza di uccidere’. Ciononostante la ministra non ha mai ricevuto un avviso di garanzia".  

È stato mai realizzato uno studio epidemiologico comparato che analizzi il grado di inquinamento dell’Ilva rispetto ad altre aree industriali italiane?

Il confronto si può fare con le altre zone della città e della regione. La comparazione con il resto del Paese non ha molto senso. Esiste una  ottima perizia epidemiologica di Francesco Forastiere e Annibale Biggeri dell’università di Firenze che però non può essere utilizzata  facilmente in sede penale (distorsione italiana) perchè gli studi epidemiologici sono usati dove difficilmente sono dirimenti, nel processo penale, e non sono utilizzati dove lo sarebbero, nei procedimenti amministrativi. Lo studio osservazionale  degli accademici fiorentini mette in evidenza l’associazione tra impatto di emissioni  ed evento patologico, ma non dimostra concretamente che  in ciascun individuo la patologia insorta è conseguenza di definite dosi  di sostanze tossiche accumulate nel corso degli anni.

In Italia si racconta che la grande attenzione della magistratura nei confronti del colosso siderurgico tarantino sia frutto anche di una relazione sentimentale finita male tra un componente della famiglia Riva ed una dipendente, parente di un custode della legge.

L’attività investigativa della magistratura è partita qualche giorno dopo aver ricevuto i dati ambientali dell’Arpa da me sottoscritti. Il gossip  lo apprendo in questo momento e, per me, lascia il tempo che trova.

La magistratura quale rapporto ha riservato alla politica?

Ha decapitato un’intera classe dirigente pugliese: sindaco e presidente della Provincia di Taranto, e presidente della Regione Puglia. Ma hanno salvato la ministra dell’Ambiente, principale responsabile dell’Aia.

La magistratura come si pone attualmente ­nei confronti dell’Ilva?

Con l’apparente  indisponibilità  a prevedere  soluzioni diverse dalla chiusura  tout court dell’industria siderurgica. Non  sembrano esistere  subordinate. Al momento.

Si vocifera che alcuni dirigenti e funzionari dell’Arpa siano il braccio armato della procura. È vero?

Non è  propriamente esatto sostenere che alcuni dipendenti di Arpa Puglia sarebbero ‘il braccio armato’ della procura. Nei fatti, la gip Patrizia Todisco ha ritenuto di nominare custodi giudiziari degli impianti Ilva sottoposti a sequestro tre tecnici che nella loro attività lavorativa (del tutto diversa dalla funzione giudiziaria) sono dipendenti  di Arpa Puglia. I miei collaboratori hanno ricevuto il nulla-osta di rito, attraverso una richiesta in cui era  da loro dichiarata l’assenza di conflitti d’interesse con l’attività istituzionale  da loro svolta in Arpa.

Ritiene che possano esserci motivi particolari che potrebbero aver irrigidito la magistratura tarantina nei suoi confronti?

Beh, io ho un carattere particolarmente impulsivo e irritabile. Quando fu resa nota l’ordinanza della gip Todisco, sconvolto dall’accusa di essere giudicato  (in senso proprio, da una giudice) completamente asservito ai voleri dei Riva, dichiarai pubblicamente nel corso di una conferenza stampa da me convocata, violando l’universale principio del politically correct,   che non avevo alcuna fiducia nella magistratura tarantina. E altre amenità di cui pure poi mi scusai. Sulla base degli articoli di stampa che insinuavano che da eroe sarei diventato un traditore della salute dei tarantini, da apostolo mi sarei trasformato in apostata, un Giuda che si sarebbe venduto per trenta denari,  in diverse occasioni ricevetti minacce direttamente da alcuni giovinastri del luogo. In particolare, ricordo che in occasione del funerale di un operaio Ilva a seguito di un tragico infortunio, fui apostrofato con ‘Assennato assassino. Dovevi morire tu, non lui’. Successivamente su un sito internet apparvero nuovamente accuse di essere un assassino, un servo dei Riva, che mi avrebbero comprato una villa (ovviamente inesistente). Furono mesi terribili per me e per la mia famiglia. Non molto tempo prima, in una simile situazione, oltretutto resa ancor più grave dalla validazione istituzionale dell’accusa di compiacenza verso i Riva, il tribunale del popolo mi avrebbe certamente inflitto una condanna a morte. Diverse volte, in quel periodo, mia moglie volle accompagnarmi nella passeggiata serale con il mio cane, terrorizzata dal fatto che potessi essere ucciso sotto casa, come tragicamente verificatosi per tante innocenti vittime dei terrorismi mafioso e brigatista, da Ambrosoli a Marco Biagi. Della denuncia da me presentata attraverso la questura di Taranto alla Procura, non ho mai saputo nulla. E mi terrorizzava l’idea che a dovermi tutelare fosse una Procura che temevo non avesse molto a cuore la mia vita. Ma può darsi che la percepita antipatia risalisse ai temi dell’incidente probatorio (marzo 2012) quando confutai alcuni aspetti  della  perizia chimica. Dell’aspetto epidemiologico di questa perizia ho sempre espresso un giudizio più che positivo, essendo di altissimo  livello scientifico. Il ministero dell’Ambiente una mattina di un giorno di marzo del 2012 mi fece  pervenire una richiesta via fax (concedendomi soltanto tre ore) per commentare la suddetta perizia chimica che doveva essere oggetto di discussione il giorno successivo alla Camera dei Deputati. Ho scritto due pagine nelle quali elencavo le imprecisioni contenute. Il gip, Patrizia Todisco decise poi di   richiamare i periti in sede di incidente probatorio, cosa che certamente non contribuì a rafforzare la sua stima nei miei confronti.

Cosa ne è conseguito alla luce di tutto questo?

Esaminando la mia vicenda personale non posso che essere d’accordo con l’analisi che Angelo Panebianco ha fatto sul Corriere della Sera lo scorso 9 marzo definendo ‘terribile alleanza’ quella stabilita tra i movimenti ambientalisti e la magistratura. Dimenticando - a mio avviso - il terzo elemento fondamentale che è dato da ‘quei’ giornalisti che vivono di ‘pane e procura’ che ribattezzerei 'triplice alleanza'. Ma devo - peraltro a malincuore - riconoscere che l’intervento della magistratura si è reso necessario a causa delle gravissime inefficienze e debolezze istituzionali nella governance ambientale. La mia visione di governance ambientale basata sull’evidenza scientifica, la trasparenza e l’inclusione di tutti gli stakeholder, ad un certo punto fu frantumata soprattutto dalla politica ministeriale (centrali sono stati i due provvedimenti governativi sopra citati, il dlgs 155/2010 che eliminò la legislazione precedente sul benzo(a)pirene e l’Aia del 2011 che ignorava le nostre richieste di miglioramento ambientale). La conoscenza che ho poi rilevato dall’ascolto delle intercettazioni  di un inquinamento morale collettivo mi induce a ritenere che senza l’intervento del maglio della magistratura sarebbe stato forse impossibile contrastare soltanto sulla base dell’evidenza scientifica gli interessi dei Riva.

Il direttore dell’Arpa Puglia non aggiunge altro a ciò che è stato raccontato in questo pezzo. Una cosa è certa la Puglia e l’Italia non può perdere un’industria che ha dato lavoro a migliaia di famiglie garantendo loro un futuro. Se questo futuro compromette la salute di un’intera città è ora che si ricerchino soluzioni per tornare a produrre limitando i rischi. Ma bisogna tornare a produrre. È questione di vita.

(segreteria@mariellacolonna.com)