Imprese strozzate dalla 'Ndrangheta. Due clan decapitati dai magistrati - Affaritaliani.it

Cronache

Imprese strozzate dalla 'Ndrangheta. Due clan decapitati dai magistrati

Colpiti i clan Pesce e Bellocco di Reggio Calabria con 53 arresti in un'operazione congiunta di Polizia, Carabinieri e Gdf

Cinquantatré persone arrestate, di cui nove agli arresti domiciliari. I magistrati hanno colpito i clan Pesce e Bellocco della 'Ndrangheta di Rosarno (RC) che estorcevano il pizzo a diverse imprese del territorio, da loro strozzate e ricattate.

Si è trattato di un'operazione congiunta di Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza. Nel mirino degli inquirenti anche il ruolo ricoperto da "insospettabili", come esponenti delle forze dell'ordine ed un commercialista. I reparti speciali delle tre forze di polizia - Ros, Scico e Sco – coordinati dalla Procura distrettale di Reggio Calabria diretta da Giovani Bombardieri, hanno assestato un duro colpo agli storici clan della 'Ndrangheta di Rosarno, autori di gravissimi reati: dall’associazione mafiosa alle estorsioni, detenzione di armi da guerra, traffico di stupefacenti. Una cappa che opprimeva soprattutto piccole imprese e attività commerciali.  Le indagini "Handover" e "Pecunia olet",  curate dal Procuratore aggiunto della Dda, Gaetano Paci, e dai sostituti Francesco Ponzetta e Paola D’Ambrosio, hanno fatto emergere il dramma di numerosi imprenditori di Rosarno e di altri comuni della Piana di Gioia Tauro assoggettati alle decisioni dei Pesce-Bellocco, e costretti a versare tangenti per il quieto vivere. 

Nel mirino della 'Ndrangheta rosarnese erano entrati non solo gli imprenditori locali e la grande distribuzione alimentare “attraverso accordo collusivi – scrivono gli inquirenti - con un gruppo imprenditoriale siciliano (Sisa) che voleva espandersi in Calabria”, ma anche le attività legate ai lavori dall’Autorità portuale di Gioia Tauro, il più grande bacino di transhipment del Mediterraneo. L’inchiesta è partita con l’avvio della ricerca del latitante Antonino Pesce, 29 anni, arrestato il 10 marzo del 2018. L'indagine ha permesso di ricostruire la rete dei favoreggiatori del giovane boss rosarnese, che era rimasto sempre sul territorio di origine per meglio coordinare le attività della cosca di appartenenza. “Attraverso la guardiania – scrivono gli inquirenti, gli arrestati sopperivano alle esigenze di liquidità per sostenere i latitanti, e detenuti e le loro famiglie”. Una sorta di mutuo soccorso per tenere unita la cosca e per evitare il potenziale pericolo dei collaboratori. Secondo quanto si legge nel comunicato della Procura, “i Pesce, nonostante gli arresti, erano riusciti a mantenere strette relazioni organizzative con i Bellocco e i Piromalli di Gioia Tauro, controllando ogni attività agricola ed immobiliare, imponendo la tangente sulla circolazione e il trasferimento dei beni, estorcendo danaro nella realizzazione di lavori pubblici in cambio di sicurezza”. Numerosi gli episodi estorsivi intercettati dagli inquirenti nel corso dei controlli, mascherate da forme di ‘sansalia’ (intermediazione) e di protezione per decine di migliaia di euro, accompagnate da minacce gravissime e ritorsioni nei confronti di imprenditori e commercianti e delle loro famiglie.

Polizia, Carabinieri e Gdf hanno fatto luce su alcuni episodi estorsivi avvenuti dentro l’area industriale del porto di Gioia Tauro che hanno riguardato la realizzazione di un capannone industriale e di un terminal intermodale, opere assegnate originariamente dall’Autorità portuale ad una impresa edile di altra provincia calabrese, in consorzio con una impresa lombarda, finite in regime di sub appalto ad altre ditte “riconducibili ai Pesce e ai Piromalli”. L’inchiesta della Procura distrettuale di Reggio Calabria ha anche posto in evidenza “strette relazioni criminali tra la cosca Pesce ed un gruppo imprenditoriale siciliano attivo nel settore della grande distribuzione alimentare”. Il gruppo siculo aveva infatti delegato ai Pesce lo stoccaggio e l’intera filiera del trasporto su gomma delle merci destinate a rifornire i punti vendita al dettaglio del gruppo. Nonostante l’accordo con i Pesce, il gruppo imprenditoriale siciliano era stato, però, costretto a versare tangenti anche al clan Cacciola, operante a Rosarno, per assicurarsi “tranquillità”. Evidenziato anche il ruolo centrale di un noto commercialista di Rosarno, Tiberio Sorrenti, ”profondamente inserito nel contesto ndranghetista rosarnese” che ha messo a disposizione, secondo gli inquirenti, il suo studio di commercialista per “incontri con elementi di vertice della cosca Pesce per dirimere contrasti sorti all’interno della cosca in relazione alla gestione delle estorsioni e per preservare da eventuali indagini il patrimonio illecitamente acquisito dai Pesce”.