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Cronache
Infermieri: durante il Covid erano eroi, ora li picchiano in corsia! Dati choc

Dal primo rapporto sulle violenze subite dagli infermieri emerge che 125mila casi non sono stati denunciati

Dalla ricerca CEASE-it (Violence against nurses in the work place), conclusa ad aprile 2021 e svolta da otto università italiane, (capofila l’Università di Genova) su iniziativa della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), risulta che il 32,3% degli infermieri, pari a circa 130mila professionisti, nell’ultimo anno, ha subito violenza durante i turni di lavoro. Mentre, i casi sommersi ammontano a 125mila e il 75% le vittime sono state donne

Molte aggressioni non sono intercettate e registrate perché ormai sono percepite e considerate, dagli stessi infermieri, come dinamiche connaturate alla professione. In particolare, ogni anno l'Inail registra 11mila casi di violenza denunciati come infortuni sul lavoro: 5mila sono infermieri. Un dato che rende gli infermieri la categoria più soggetta a questo fenomeno, ma ai numeri ufficiali bisogna anche aggiungere il sommerso di 125mila vittime che non hanno denunciato.

Su queste dinamiche pesa la carenza di infermieri negli organici: un’assistenza efficiente si ha con un rapporto infermiere paziente 1 a 6 ma, allo stato attuale, il rapporto è 1 a 12. Secondo la Fnopi, in base agli standard previsti del cosiddetto DM 71 (la delibera del 21 aprile 2022 del Consiglio dei ministri), è necessario aumentare l'organico con 70mila infermieri aggiuntivi. Con l'attuale carenza si restringe pericolosamente il tempo di cura oppure si aumenta la possibilità che l’infermiere precipiti in una condizione di burnout (33%). A tutto questo aggiungiamo che il 10,8% di chi ha subito violenza, presenta danni permanenti a livello fisico oppure psicologico. Per comprendere le drammatiche proporzioni del problema, è utile un raffronto: il 46% degli infermieri ha subito violenze durante l’esercizio della professione, i medici si attestano al 6%.

Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini infermieri, interviene: "Per restituire dignità all’attività professionale e per garantire la sicurezza degli infermieri durante l’orario lavorativo, è quanto mai urgente inserire questa professione tra le categorie usuranti, mentre ora è riconosciuta soltanto la classificazione tra i lavori gravosi. Continua: "Lo studio descrive le caratteristiche degli episodi di violenza e individua i fattori predittivi e le cause. I correttivi di cui c’è bisogno derivano da qui. E su queste basi sarà sicuramente più immediato il lavoro dell’Osservatorio di tutte le professioni che il ministero della Salute coordina, anche per organizzare la formazione".

La professoressa Annamaria Bagnasco, dell’Università di Genova, coordinatrice della ricerca, afferma: "Lo studio ha dimostrato che gli infermieri conoscono i tratti e le caratteristiche di un potenziale comportamento di aggressione fisica o verbale; tuttavia per varie ragioni non riescono a intercettare e prevenire questi episodi. Una delle concause dimostrate dallo studio, è la comunicazione inadeguata che avviene tra il personale e l’assistito e/o l’accompagnatore; tuttavia, i processi comunicativi sono ampiamente influenzati dall’ambiente di lavoro, dallo staffing e dal benessere dei professionisti. In questo momento lo studio sta fornendo ulteriori dati, su cui stiamo lavorando, per mettere in correlazione lo staffing, il benessere degli operatori e il benessere dei professionisti con gli episodi di aggressione, al fine di poter ipotizzare i fattori predittivi di questi eventi", conclude Bagnasco.

 
 

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