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La visita di Stato di Carlo e Camilla, il cerimoniale che piace al cittadino

Comportamenti rigorosi e formali, rispetto delle Istituzioni, consapevolezza del ruolo e responsabilità, ma anche sobrietà e vicinanza alla gente e ai valori

di Enrico Passaro*

La visita di Stato di Carlo e Camilla

Non è che abbia dati certi, ma l’impressione è che la visita di Carlo e Camilla in Italia abbia avuto un impatto mediatico inferiore forse soltanto al Festival di Sanremo. Ne parlo il giorno dopo che l’aereo di stato britannico ha lasciato la pista dell’aeroporto di Forlì per riportare a casa i reali, ma ancora continuano a scorrere le immagini, pressoché in quasi tutti i programmi televisivi, delle tre giornate della loro presenza sul territorio italico.

E ancora se ne parlerà e ancora ne scriveranno le testate giornalistiche e ancora commenteranno i commentatori più o meno esperti e documentati, quelli che sanno tutto della vita della famiglia reale inglese. Quando si dice che un evento è da considerare “storico”!

E allora, perché non commentare anche noi dal nostro punto di vista? Innanzitutto, si è trattato di una “Visita di Stato” e ciò comporta delle differenze sostanziali da una visita ufficiale o da un qualsiasi altro incontro più o meno informale. È una questione di protocollo. Il precedente più recente da parte del “sovrano del Regno Unito di Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord” (così la definizione ufficiale e formale da attribuire al Capo di Stato anglosassone) risale al 2014, quando fu la regina Elisabetta II, accompagnata dal marito Filippo, Duca di Edimburgo, a visitare l’Italia, più o meno nello stesso periodo dell’anno (dal 3 al 5 aprile). Era la quarta volta per la sovrana inglese.

Ora è toccato al suo erede Carlo, che pure era transito diverse altre volte sul territorio dello Stivale, in qualità di principe di Galles. L’ultima fu per il G20 del 2021 alla Nuvola, nell’edizione italiana del vertice, presieduta dal Presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma ora è stata tutt’altra storia.

Il cerimoniale della Repubblica Italiana si è mostrato nella circostanza dei giorni scorsi in tutta la sua dignità. Lo abbiamo apprezzato nei vari momenti della visita di Stato, dall’accoglienza in aeroporto, al corteo scortato dai corazzieri a cavallo lungo via Nazionale fino al colle del Quirinale. E poi gli onori militari, con l’esecuzione degli inni, l’alzabandiera, le foto ufficiali, i colloqui, passaggi eseguiti e replicati con il massimo rigore al Quirinale come a Villa Pamphilj, per l’incontro con il Presidente del Consiglio. Ed ancora la deposizione di corona all’Altare della Patria, come omaggio di un Capo di Stato straniero ai caduti italiani per la patria, secondo le stesse modalità care alle nostre cariche istituzionali in occasione delle grandi feste nazionali civili del 25 aprile, del 2 giugno e del 4 novembre.

E poi il ricevimento nella cena ufficiale al Quirinale e l’accoglienza dei membri del Parlamento riuniti eccezionalmente in seduta comune a Palazzo Montecitorio, con il mirabile discorso tenuto dal re, in cui ha puntualmente ed elegantemente ricordato (anche a chi forse non lo vuole ricordare) i capisaldi della nostra democrazia e dei princìpi di libertà del nostro Paese, dalla comune appartenenza all’Europa, alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo, al sacrificio di chi, come il giudice Falcone, è morto per combattere la mafia. Infine, la tappa a Ravenna, a celebrare l’anniversario della liberazione di quella provincia nell’aprile del 1945 ad opera anche delle truppe alleate del Commonwealth.

Il tutto contornato da momenti meno formali e istituzionali, con un’attenzione particolare ai contenuti culturali, solidaristici, ambientali e di sostenibilità, tutti argomenti cari al sovrano del Regno Unito, con frequenti e ordinati bagni di folla, tra un crescente entusiasmo popolare. Una visita di Stato si costruisce attraverso questi momenti, con la costante presenza come accompagnatore di un rappresentante del Governo, e con il doveroso rapporto preferenziale fra Capi di Stato.

Come dicevo, il cerimoniale italiano è stato all’altezza del rigoroso protocollo reale anglosassone. Ha funzionato alla perfezione e le autorità nazionali si sono mostrate attente e rispettose delle regole. Paradossalmente sono stati proprio Carlo e Camilla a compiere qualche strappo al protocollo, come è accaduto al Quirinale in occasione dei momenti ufficiali degli onori militari prima della rassegna e della cosiddetta photo opportunity davanti alle bandiere, circostanze in cui i due reali hanno mostrato di voler restare sempre vicini.

Sotto il profilo del cerimoniale, sappiamo cosa significa la realizzazione di un evento per la Casa Reale di Windsor. Abbiamo ancora tutti presente il rigore straordinario, il perpetuarsi di una tradizione secolare, i perfetti meccanismi e sincronismi ai quali tutti gli interpreti si sono sottoposti in occasione dei funerali della regina Elisabetta II e della successiva incoronazione di Carlo III. Anche lì il coinvolgimento popolare fu straordinario, anche attraverso le dirette trasmesse dalla televisione italiana. Come dire, un fascino che investiva non solo i sudditi di Sua Maestà, ma il mondo intero.

Anche nei momenti degli incontri ufficiali in Italia dal 7 al 10 aprile è accaduto lo stesso, alti indici di ascolto e di interesse, grande popolarità e partecipazione. Qualcuno potrebbe sicuramente voltare la prospettiva della reazione popolare verso un improbabile desiderio di nobiltà e di monarchia. Sono certo che lo farà! E sono certo che non sia questo il punto, ma bensì un altro, su cui, per la verità, bisognerebbe un po’ riflettere. Ed è la voglia sì di nobiltà, ma nobiltà di comportamenti, di austerità, di eleganza, ma nello stesso tempo di vicinanza emotiva e di empatia.

Tutte qualità che devono appartenere ad un massimo rappresentante delle istituzioni. Il re Carlo e la regina Camilla le posseggono queste qualità e le sanno rappresentare, ne hanno la piena consapevolezza. Anche da noi c’è chi sa farsi interprete delle stesse caratteristiche. È il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ad esempio, e non è un caso che goda tuttora della massima popolarità dopo 10 anni di presidenza.

I cittadini mostrano rispetto e ammirazione verso i titolari di cariche pubbliche che mostrano di saper interpretare il loro ruolo con sobrietà, ma anche con enorme considerazione del rango istituzionale loro attribuito. Non è vero che i modi spicci, l’agire fuori dagli schemi protocollari, fanno guadagnare consensi e popolarità. Non è – per dirla in termini spicci – “buttandola in caciara” che si conquista la considerazione dei cittadini, i quali vogliono invece sentirsi degnamente rappresentati. Essi desiderano, vogliono avere come loro rappresentanti persone che occupino con dignità, responsabilità e consapevolezza la carica pubblica assegnata.

Il rispetto, la considerazione e financo l’ammirazione popolare verso il politico che ci rappresenta nella vita pubblica è proporzionalmente crescente quanto più quest’ultimo sappia esprimere con serietà e totale dedizione il proprio gravoso compito. È una considerazione che, se trova riscontro, come credo, nell’opinione profonda dei cittadini, rende anche straordinario merito alla cura del cerimoniale, che è e deve essere proprio questo: rappresentazione formale (sulla base di contenuti altamente sostanziali) del ruolo pubblico dei rappresentanti delle istituzioni, attraverso il rispetto dei simboli e l’adeguata attenzione a comportamenti congruenti con lo spirito, la tradizione e il comune sentire di una nazione.

*Enrico Passaro, già responsabile dell'Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha visto sfilare a Palazzo Chigi ben sette premier, da Silvio Berlusconi a Mario Draghi, passando per Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte. Membro del Comitato consultivo della Fondazione OMRI per il Cerimoniale Istituzionale.

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