Cronache
Migranti in Libia, Carola Rackete e le ong: missione umanitaria o politica?
Il Giudice per le indagini preliminari presso la procura di Agrigento, con la ormai nota ordinanza dello scorso 2 luglio 2019, ha disposto il rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti di Carola Rackete al comando della Sea Watch 3, ordinandone l’immediata liberazione.
Come tutti ricorderanno l’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Agrigento, preceduta dall’arresto in flagranza in reato, era stata sollecitata dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento in relazione a delitto di cui all’articolo 1100 del codice della navigazione (poiché Carola Rackete, quale comandante della motonave Sea Watch 3, compiva atti di resistenza e di violenza nei confronti della nave da guerra aperte “Vedetta V. 808” della Guardia di Finanza); nonchè in relazione al delitto di cui all’articolo 337 del codice penale (perché quale comandante della motonave Sea Watch 3, usava violenza per opporsi ai pubblici ufficiali presenti a bordo della vedetta della Guardia di Finanza mentre compivano atti di polizia marittima).
Le conclusioni cui è pervenuto il GIP di Agrigento sarebbero suffragate dalla ritenuta operatività della scriminante di cui all’articolo 51 del codice penale che ricordiamo, esclude la punibilità per il fatto costituente reato commesso nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità.
A tale scopo il giudice delle indagini preliminari richiama la normativa sia nazionale che sovranazionale relativa al passaggio di una nave nel mare territoriale (articolo 18 della Convenzione sul diritto del mare, c.d. Convenzione Montego Bay); nonché l’articolo 1158 del codice della navigazione che sanziona penalmente l’omissione da parte del comandante di nave, nazionale o straniera, di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne sussiste l’obbligo a norma dell’articolo 490 dello stesso codice ossia allorquando la nave in difficoltà sia del tutto incapace di effettuare le manovre.
A far escludere la sussistenza delle delitto di cui all’articolo 1100 del codice della navigazione è stata l’errata considerazione della natura da attribuire alla motovedetta della Guardia di finanza: il Giudice per le indagini preliminari di Agrigento, citando una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 35 del 27 febbraio 2000) ha ritenuto di poter escludere che le unità navali della Guardia di Finanza , possano essere considerate “navi da guerra” quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare.
NULLA DI PIÙ SBALORDITIVO e lontano dalla verità: il giudice delle leggi si è pronunciato sull’argomento in occasione della richiesta di referendum abrogativo di varie disposizioni dell’ordinamento del Corpo della Guardia di Finanza e, in particolare, per l’abolizione del carattere militare della guardia finanza.
In detta occasione la Corte Costituzionale ha ritenuto di dichiarare inammissibile il quesito per la sua intrinseca incongruenza ed inidoneità a conseguire il fine per cui era stato proposto, atteso che il carattere militare della Guardia di Finanza continuerebbe a connotare l’assetto normativo del corpo, dal reclutamento all’avanzamento in carriera del personale; dallo stato giuridico alla disciplina e alla rappresentanza; dalle funzioni e modalità di esercizio dei compiti istituzionali e per taluni profili di carattere penale.
Nulla invece è stato disposto in ordine alla natura del naviglio della Guardia di Finanza!
Della questione si è invece occupata la Corte di Cassazione con la sentenza resa dalla terza sezione penale in data 21 settembre 2006 (Sentenza n. 31403/2006) quando, decidendo in un caso disciplinato dall’articolo 1100 del codice della navigazione, ha precisato che alla motovedetta va riconosciuta la qualifica di nave da guerra in quanto non solo comandata ed equipaggiata da personale militare, ma soprattutto perché lo stesso legislatore ricomprende il naviglio della Guardia di Finanza in questa categoria con l’articolo 6 della legge 13 dicembre 1956 numero 1409, recante norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione il contrabbando marittimo.
Nel corpo della stessa pronuncia la Corte di Cassazione ha altresì chiarito come il reato di cui all’articolo 337 del codice penale che punisce la resistenza a pubblico ufficiale, concorre con quello di cui all’articolo 1100 del codice della navigazione, che a sua volta punisce la resistenza o violenza contro una nave da guerra, in ragione della diversità del bene tutelato, individuato rispettivamente nella tutela fisica o morale del pubblico ufficiale e nella tutela della polizia marittima.
E allora, non solo il Giudice per le indagini preliminari ha “forzato” il contenuto di una pronuncia di inammissibilità della Corte Costituzionale, ma ha addirittura escluso il concorso formale di reati appellandosi ad una scriminante (l’art. 51 del codice penale) che, al contrario, non sembra trovare spazi in una vicenda così caratterizzata, anche perché non si capisce quale ordine stesse eseguendo la Comandante della Sea Watch cui, la stessa Olanda, ha negato la sovranità nazionale, tanto da poter essere definita come nave pirata!
E allora, ci si chiede come possa non riconoscersi portata politica alle decisioni di certa magistratura che legittimando, anche a discapito della sovranità Nazionale, le attività di talune ONG di ispirazione religiosa e di sinistra, fanno dei profughi dei proiettili di una battaglia politica particolarmente intensificatasi dopo che il decreto sicurezza ha ridotto le diarie assegnate a chi si occupa dei migranti giunti illegalmente in Italia?
Ci si chiede ancora, come possa continuare ad applicarsi la speciale disciplina internazionale di salvataggio in mare di profughi, quando è ormai accertato che la stragrande maggioranza dei migranti hanno pagato fior fiori di dollari ai loro scafisti per essere portati in Europa?
Soprattutto ci si chiede perché le imbarcazioni continuano a spegnere i trasponder per non essere localizzate ogni qualvolta “casualmente” identificano una imbarcazione di migranti?
L’Italia non è la pattumiera dell’Europa e difendere i confini Nazionali non è il capriccio dell’ultimo ministro acclamato a furor di popolo, ma il dovere che ogni cittadino dovrebbe proclamare a gran voce, come farebbe per difendere il giardino della propria abitazione.
STUDIO LEGALE GELSOMINA CIMINO