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Cronache
Mottarone, il dramma di Stresa tra etica e diritto

La gente legge i giornali, più che per informarsi, per avere delle conferme. E infatti gli elettori di destra comprano giornali di destra (quando leggono), e gli elettori di sinistra leggono giornali di sinistra (quando leggono). Se veramente avessero voglia di informarsi, dovrebbero leggere giornali non pregiudizialmente schierati, e perfino giornali non proni a dar spazio all’emotività.

In questi giorni è caduta una cabina della funivia, e i giornali, in coro, fanno i commenti emotivi ed indignati che potrebbero fare le comari sul pianerottolo, tornando dal supermecato. Al punto che uno si chiede a che scopo dovrebbe comprare il giornale: per avere a pagamento ciò che potrebbe avere gratis, sul pianerottolo di casa?

Naturalmente i grandi editorialisti si esprimono molto meglio delle comari, ma il fondo di etica severità ed indignazione è lo stesso. Non potendo leggere tutti gli articoli, segnalo alcuni titoli. Antonio Polito (Corriere) “L’etica smarrita”; Ezio Mauro (Repubblica) “La sicurezza e il capitale”, stavo per scrivere Kapital; Mauro Zacché (Giornale) “Quel forchettone fra economia e salute”; e soprattutto, Antonella Marzano (Stampa) “Le conseguenze dell’avidità”.

Ripartiamo da principio. La cabina non è caduta perché si sia rotta la fune di sostegno, che è rimasta integra. Si è fracassata perché, giunta quasi a destinazione, si è rotta la fune di traino, quella che “tira su” la cabina e, non funzionando i frendi (perché manomessi) la cabina è precipitata a valle, schiantandosi contro il primo pilone.

I freni, che presentavano dei guasti, erano stati manomessi dai gestori perché non volevano fermare il servizio (per procedere ai necessari controlli e alle necessarie riparazioni) dopo tanto tempo di fermo. Va detto che questi freni non sono previsti in Francia (non nel Burundi, in Francia, perché la fune di traino non si è mai rotta), e dunque avranno pensato che per qualche settimana se ne poteva anche fare a meno. Quid iuris?

Giuridicamente, senza alcun dubbio, tutti coloro che hanno contribuito a non far funzionare i freni, sono colpevoli dei reati loro addebitati. Se fossi il loro giudice, io stesso li condannerei. Né varrebbe la loro scusa, e cioè che non era mai successo che si rompesse la rune di traino, perché si può sempre rispondere che, se i freni avessero funzionato, il disastro non si sarebbe verificato. Inoltre, è vero che la Francia non prevede i freni automatici, ma l’Italia li prevede e, se il disastro si verifica perché qualcuno non ha obbedito alla legge (per ipotesi una legge stupida e troppo prudente) si ha inevitabilmente lo schema della colpa penale. Il codice dichiara sussistente il reato quando il fatto si è verificato per “inosservanza di leggi o regolamenti”. Ripeto, gli accusati sono insalvabili, e anch’io li condannerei.

Quanto al fatto che il disastro si è verificato in primis perché si è rotta la corda di traino, l’argomentazione non vale molto. Giuridicamente ciò significa soltanto che sono colpevoli sia coloro per colpa dei quali si è rotta la fune, sia coloro che hanno manomesso i freni. In diritto penale la colpa dell’uno non scusa la colpa dell’altro e le responsabilità si addizionano, non si sottraggono. Se un infermiere mette per sbaglio un veleno fra i medicinali e un secondo infermiere sbadatamente lo somministra a un malato, senza controllare che sia il medicinale giusto, ambedue sono colpevoli di omicidio colposo.

Ma ora vado al lato etico, cui tanto sembrano tenere i commentatori.

Il reato colposo è, in diritto, il classico “reato involontario”. Il caso dell’automobilista che ammazza un pedone che non ha mai visto prima. E naturalmente ci sono diversi gradi di colpa. Se qualcuno è imprudente, quasi dicendosi che “Se succede un guaio, chi se ne frega”, si ha la “colpa con previsione”, che porta ad un serio aggravamento di pena. Al contrario, se la colpa è lieve, e si ha un evento lesivo, si ha un’attenuante. Mentre l’automobilista ubriaco che guida a cento all’ora in città è moralmente spregevole, il genitore che uccide il figlio piccolo, facendo manovra in garage (è successo) ci induce piuttosto alla pietà per il colpevole.

In questo senso, il caso dei gestori della funivia è un ircocervo: la colpa è lieve, le conseguenze devastanti. Si può dunque capire che la pena sia severa, data la strage che ne è derivata, ma non si può condividere l’indignazione morale. Chi ha scritto il titolo della sig.ra Marzano, parlando di “avidità”, ha commesso una cattiva azione.

L’avidità è l’atteggiamento di chi vuole più del giusto, per motivi spregevoli, mentre qui tutto ciò che i gestori volevano era lavorare, e guadagnare il giusto dopo mesi di fermo. La parola avidità è fuor di luogo. Essi erano così sicuri che non sarebbe successo niente, che hanno staccato i freni. Se soltanto avessero temuto che potesse succedere quello che è successo – con tutte le conseguenze a loro carico che possiamo immaginare – mai e poi mai avrebbero corso quel rischio. Perché parlare a vanvera, di avidità? Perché essere gratuitamente crudeli?

Ho detto più volte che, da giudice, condannerei penalmente quelle persone, ma non salirei sulla cattedra del moralista. Direi: “Siete giuridicamente colpevoli, e dunque vi condanno. Umanamente vi compiango”.

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