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Cronache
Nobel per le onde gravitazionali, ma Einstein sbagliò su di esse

 

Il premio Nobel per la Fisica del 2017 è stato assegnato a Rainer Weiss, Barry C. Barish e Kip S. Thorne per l’osservazione delle onde gravitazionali nell’ambito del progetto Ligo.

Wiess e Barish sono fisici sperimentali, mentre Thorne è un fisico teorico, tra i massimi esperti di Relatività Generale (RG) e consulente scientifico del film Interstellar.

Le onde gravitazionali sono state rivelate il ​​14 settembre 2015, alle 11:50:45 ora italiana (09:50:45 UTC, 05:50:45 am EDT), da entrambi gli strumenti gemelli Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO), negli Stati Uniti, a Livingston, in Louisiana, e a Hanford, nello stato di Washington.

Le onde gravitazionali sono delle increspature della struttura dello spazio-tempo previste dalla Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein e sono dovute al fatto che la materia accelerata emette onde che si propagano senza bisogno di un mezzo che le sostenga, come accade invece alle comuni onde che possono rilevarsi, ad esempio, in un mezzo liquido.

La storia di questa scoperta è lunga e faticosa e comunque rappresenta un punto di svolta nella Fisica.

Le equazioni non lineari di campo di Einstein le prevedono come soluzione, ma data la bassissima intensità è stato molto difficile catturarle sperimentalmente tramite il progetto Ligo.

La cosa divertente è che, quella che adesso è una delle principali prove della correttezza della RG (non ce ne sono molte) è stata in un certo periodo ripudiata proprio dal loro scopritore teorico e cioè da Einstein che non credeva alla loro esistenza salvo cambiare di nuovo idea.

Riporto di seguito alcune considerazioni che ho fatto dopo la scoperta sperimentale delle onde gravitazionali.

Albert Einstein è considerato un genio assoluto della fisica di tutti i tempi e probabilmente è sullo stesso livello di grandissimi scienziati come Newton e Galilei, ma anche lui commise degli errori e non sempre li ammise. Prendendo lo spunto dalla recente scoperta delle onde gravitazionali che sono state rilevate durante la fusione di due buchi neri ed hanno ulteriormente confermato la teoria della Relatività Generale voglio parlare della loro previsione teorica che non fu così semplice come viene fatto comunemente pensato. Sul finire del XIX secolo la fisica era un edificio compatto e difficilmente scalfibile: sembrava che la natura avesse reso possibile conoscere tutti i suoi segreti. Tuttavia due piccole crepe si manifestavano all’occhio attento di chi avesse voluto approfondire le questioni: una era il cosiddetto “spettro di corpo nero” che dava valori infiniti (e quindi irreali) per l’intensità energetica emesse da un corpo completamente scuro e l’altra era la fantomatica presenza di una “essenza”, chiamata etere, che doveva permettere alla luce di propagarsi nel vuoto come fanno l’aria e l’acqua con le onde sonore e marine. La prima questione, cioè quella del corpo nero, doveva portare alla scoperta della Meccanica Quantistica (che vide tra i padri sempre Albert Einstein) mentre l’altra avrebbe portato nel 1905 alla Relatività Speciale. In primis perché “Speciale”? L’aggettivo si riferisce al fatto che tale teoria riguarda solo un contesto molto particolare, speciale appunto, e cioè quello dei cosiddetti sistemi di riferimento inerziali che sono, semplificando molto, quei sistemi che si muovono di moto rettilineo uniforme. Cosa diceva la Relatività? Che tutte le leggi della fisica e quindi anche quelle dell’elettromagnetismo (la luce è una forma di onda elettromagnetica) sono uguali per osservatori che si muovono appunto di moto rettilineo ed uniforme (come andare in auto sempre alla stessa velocità lungo una strada dritta).Tuttavia, Einstein riteneva che le leggi della fisica non dovessero dipendere da nessun particolare sistema di riferimento e quindi di stato di moto di un osservatore: anche un osservatore in moto accelerato (un’auto che varia la sua velocità lungo una strada) dunque doveva registrare le stesse leggi fisiche di un osservatore in quiete o in moto rettilineo uniforme. Queste considerazioni lo portarono dopo anni ed anni di tentativi a giungere nel 1915 alla teoria della Relatività Generale (pubblicata nel 1916).La Teoria della Relatività Generale non dice solo che tutte le leggi sono uguali per ogni osservatore ma, per motivi tecnici (“Principio di Equivalenza”), è anche del tutto equivalente ad una Teoria della gravitazione che andò a sostituire la vecchia gravitazione di Isaac Newton che aveva dato prova di mirabile perfezione nell’analisi di quasi tutti i fenomeni astronomici tranne uno: c’era un pianeta, Mercurio per la precisione, il cui perielio, cioè il punto di massima vicinanza al sole, non rispettava le regole di Newton ma “precedeva”  nel tempo in maniera non prevista. La Relatività Generale riuscì a spiegare questa precessione del perielio di Mercurio ed inoltre previde che la luce potesse essere deviata da una massa gravitazionale di un pianeta e poi che potessero, appunto, essere emesse delle onde, le onde gravitazionali, quando un corpo fosse stato accelerato. Questo tornava con l’analogia elettromagnetica; infatti, una carica elettrica accelerata emette onde elettromagnetiche di una certa frequenza. Einstein allora cercò di estrarre dalle sue complicatissime equazioni differenziali di campo tensoriali non lineari una equazione delle onde che prevedesse tale fenomeno. Tuttavia, 20 anni dopo la nascita della Relatività Generale del 1916 e quindi nel 1936, Einstein mise in dubbio tale (corretta) intuizione iniziale  e inviò, insieme ad un suo collaboratore, Nathan Rosen, un articolo intitolato “Do gravitational waves exist?” (“Esistono le onde gravitazionali?”) a “Physical Review” in cui negava che tali onde potessero esistere. Einstein era giunto esule dalla Germania negli Usa nel 1933 ed ancora non conosceva bene le abitudini americane. Nel frattempo scriveva a Max Born, uno degli altri padri della Meccanica Quantistica di essere convinto che le onde gravitazionali non esistessero. Ma cosa successe in seguito all’articolo? L’editore di “Physical Review”, correttamente, non pubblicò subito l’articolo sebbene Einstein, premio Nobel per la Fisica, godesse di una fama planetaria ma lo inviò a vari fisici esperti di tale materia affinché, nell’anonimato (per Einstein), leggessero l’articolo senza farsi influenzare. Uno di questi lettori era Howard Percy Robertson, un noto cosmologo americano, che notò degli errori matematici nell’articolo stesso e ne informò l’editore che ne diede notizia, a sua volta, ad Einstein che non la prese affatto bene. Come ho detto, Einstein non era avvezzo alla prassi Usa che oggi è comunemente usata in tutto il mondo e si chiama peer review (revisione paritaria) e serve a garantire l’accuratezza di un articolo scientifico. Einstein stizzito scrisse all’editore di “Physical Review” dicendo che non aveva alcuna intenzione di rispondere ai commenti sbagliati al suo articolo dell’anonimo revisore e che in futuro non avrebbe mai più pubblicato per quella rivista. E così fece (tranne una breve nota di confutazione nel 1953).A quel punto Einstein mandò l’articolo ad un’altra rivista, il “Journal of the Franklin Institute” per la pubblicazione. Tuttavia, per sua fortuna, prima che fosse pubblicato un altro suo collaboratore, Leopold Infeld, opportunamente avvertito da Robertson, fece notare l’errore ad Einstein che lo corresse (senza però mai raccontare la vicenda). Ma cosa c’era di sbagliato nel ragionamento del grande scienziato tedesco?

Einstein e Rosen, partendo come detto dalle equazioni di campo, avevano scritto una formula che prevedeva onde gravitazionali “piane” in cui il campo gravitazionale oscilla in una direzione costante mentre l’onda avanza. Questa scelta portava però ad incontrare nel seguito dei calcoli delle quantità infinite e questo in fisica significa che qualcosa non va nel modello descrittivo della realtà che si sta utilizzando. Forti di questo risultato Einstein e il collaboratore pensarono quindi che l’idea delle onde gravitazionali fosse sbagliata e scrissero l’articolo poi rifiutato.

In realtà i due avevano commesso un errore: avevano scelto un particolare riferimento in cui le onde erano “piane” e quindi generavano l’infinità ma invece, scegliendo un altro riferimento (cosa lecitissima proprio grazie alla Teoria della Relatività) le onde diventavano “cilindriche” e non presentavano più singolarità infinite e quindi potevano esistere. Un’onda gravitazionale si propaga alla velocità della luce ed è di tipo “trasversale”, cioè il campo gravitazionale “vibra” in direzione perpendicolare a quella di avanzamento dell’onda stessa; tale vibrazione può essere contenuta in un piano costante oppure tale piano di oscillazione può variare in diverse direzioni in funzione del tempo. Queste onde cilindriche utilizzate da Einstein sono caratterizzate, rispetto a quelle piane, dal fatto che il campo gravitazionale oscilla in diverse direzioni e non solo in una particolare. In realtà Einstein commise anche altri errori; sempre nell’ambito della Relatività Generale , nel 1917, mise un termine aggiuntivo nelle sue equazioni, la cosiddetta costante cosmologica, perché credeva in un modello statico dell’Universo; in realtà 10 anni dopo nel 1927  il sacerdote e fisico belga Georges Lemaître propose un modello di universo in espansione (che avrebbe portato in seguito alla teoria del Big Bang) e nel 1929 Edwin Hubble dimostrò sperimentalmente che l’universo è in espansione. A quel punto la costante cosmologica era inutile ed Einstein la tolse definendola “il più grande errore della mia vita”. In realtà, nel 1998, si è scoperto che l’accelerazione dell’universo aumenta cosicché la famigerata costante cosmologica è tornata nelle equazioni della Relatività Generale e quindi Einstein sbagliò, in un certo senso, due volte. Inoltre Einstein non credeva nelle singolarità dei Buchi Neri e soprattutto non credeva nella correttezza della Meccanica Quantistica: anche in questo caso si sbagliava. A dimostrazione che nessuno è perfetto, neppure i geni.

 

 

BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA

 

D. Kennefick , “Einstein versus Physical Review”, in “Physics Today”, Vol. 58, n. 9. Settembre 2005.

 

Abraham Pais, “Einstein, Sottile è il Signore…”, Bollati Boringhieri, Torino, 1986.

 

Landau L. D., E M. Lifsits, “Teoria dei campi”, Editori Riuniti, Roma, 1981.

 

Giuseppe Vatinno, “Storia naturale del Tempo. L’ ‘effetto Einstein’ e la Teoria della Relatività”, Armando Editore, 2014.

http://www.sif.it/attivita/saggiatore/recensioni/vatinno

 

Giuseppe Vatinno, “Sette brevi lezioni di Relatività”, Aracne  editrice 2015.

http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854888760

 

Giuseppe Vatinno (articolo), "Sul concetto di etere in elettromagnetismo e relatività", Giornale di Fisica (Società Italiana di Fisica), Year 2015 - Issue 1 - January-March. 

http://www.sif.it/riviste/gdf/econtents/2015/056/01/article/0

Giuseppe Vatinno (articolo) " Osservazioni su una possibile tautologia presente nella definizione del principio di inerzia e di un sistema inerziale" in “Il Giornale di Fisica” Vol. LVI, N. 3, Luglio – Settembre 2015, SIF, (Società Italiana di Fisica).

Giuseppe Vatinno (comunicazione): “Da Maxwell ad Einstein.La Relatività e il suo processo di genesi storica”, Congresso Società Italiana di Fisica, Università di Pisa, 2014.

In:

http://www.giuseppevatinno.it/wordpress/?p=1685

Giuseppe Vatinno (comunicazione): “La fisica dei viaggi nel tempo”, Congresso Società Italiana di Fisica, Università di Padova, 2015.

Giuseppe Vatinno, (comunicazione): “L’influenza di Mach sul pensiero di Einstein”, Congresso Società Italiana di Fisica, Università di Trento, 2017.

 

 

 

 

 

Tags:
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